Domenica 9 agosto 2015, XIXª Tempo Ordinario
Dal Vangelo
Giovanni 6,41-51
In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?». Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Dalle Fonti
Regola di santa Chiara IV,13-18: FF 2779-2780
Conservi la vita comune in tutto, ma specialmente in chiesa, in dormitorio, in refettorio, nell’infermeria e nelle vesti. E ciò è tenuta a fare allo stesso modo anche la sua vicaria. L’abbadessa sia tenuta a convocare a Capitolo le sue sorelle, almeno una volta la settimana. Ivi, tanto lei quanto le sorelle debbano accusarsi umilmente delle comuni e pubbliche mancanze e negligenze. Ivi ancora discuta con le sue sorelle circa le cose da fare per la utilità e il bene del monastero. Spesso infatti il Signore manifesta ciò che è meglio al più piccolo.
Alla vita
Gesù è “pane”. Gesù è “eternità”. Due parole icone della nostra fede. Due parole che nel nostro mondo hanno perso quasi definitivamente il loro profondo significato. Il “pane” non sazia più la nostra fame alimentare. “Eternità” ha lasciato il posto al “tutto e subito”. Alla civiltà della fretta. Alle risposte iperveloci dei nostri inseparabili tutor informatici. Ma noi, credenti consapevoli, che valore riusciamo a dare, ancora, a queste due realtà. In che modo saziamo la nostra vita di fede? Che idea abbiamo dell’eternità? Siamo consapevoli di essere immortali, oppure abbiamo cancellato anche questa nostra originale destinazione, cancellandone il pensiero, magari esorcizzandola con il mito della perfetta forma fisica. Siamo di fronte ad un grande compito personale e comunitario che riguarda il linguaggio della nostra fede: restituire senso, con la nostra vita, a queste due parole. Nutriamo, dunque, la nostra fede, con un’assidua frequentazione della Parola di Dio. Viviamo la vita da autentici “highlander”, nella consapevolezza di essere davvero immortali. Coraggio!
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