Frate Francesco d’Assisi, Dalla nascita alla prigionia
In Terra Umbra, sulla cresta di un colle, alle pendici del Subasio, si distende Assisi. Dentro il borgo antico, la trama della struttura urbana si sviluppa a terrazze, che discendono a differenti quote dal suo centro, la piazza del Comune, dove primeggia il corinzio tempio di Minerva; svetta la torre del Popolo congiunta al Palazzo del Capitano; s’allunga a meridione il Palazzo dei Priori, dal cui portico un’arcata apre su un agglomerato di case edificate su una ripida discesa, che s’allarga ad imbuto su un pianale raccolto ad un lato dalla Chiesa di San Giorgio ed esposto per gli altri su un vasto panorama. Poco oltre, confinata da un groviglio di viuzze, la casa che apparteneva al Santo e al suo casato. Qui la devotissima domina Giovanna Bourlemont, detta la “Pica”, provenzale di nobili origini, lo svelò alla luce e per devozione al Battista del Giordano gli impose, al rito battesimale, il nome di Giovanni. Giovanni nacque mentre il padre Pietro Bernardone dei Moriconi, ricco e rispettato mercante di stoffe, era in Provenza a mercanteggiare nell’affollata piazza di Montpellier. Quando messer Bernardone ritornò, ancor più ricco di prima, nella sua capiente casa-bottega di Assisi, in omaggio alla tanto amata Franconia e ai suoi straordinari e lucrosi “panni franceschi”, che tanto agio borghese davano alla sua famiglia, volle che quel suo primogenito, erede naturale della sua arte mercantile, fosse soprannominato Francesco. Modesto negli studi, svolti nella scuola parrocchiale di San Giorgio, Francesco crebbe fiero ed allegro in mezzo alle stoffe, educato all’arte e ai privilegi del mestiere paterno. Conosceva il francese “volgare” della Provenza, insegnatogli in famiglia e approfondito nei frequenti viaggi, con il padre, nei mercati della Franconia. Affascinato dalle gesta cavalleresche e dall’amore cortese narrate e rimate dai trovatori provenzali, visse la prima giovinezza col cuore e la mente protesi ad ottenere l’investitura di Cavaliere, ponte per elevarsi al rango della Nobiltà. Pur essendo di estrazione borghese, Francesco intratteneva ottimi rapporti con i rampolli delle famiglie nobili. Vestiva elegantemente con abiti costosi e ricercati, versato all’uso delle armi e della scherma, esperto di equitazione, generoso con gli amici ai quali non lesinava di offrire lauti banchetti, conviviale e gioioso, tanto da essere chiamato il princeps juventutis. L’occasione propizia, per attestare il suo valore di cavaliere, si presentò allorquando il Cardinale Lotario di Segni, sostenitore del potere universale della Chiesa, eletto Papa e salito sul soglio pontificio col nome di Innocenzo III, impose la sovranità del Clero sul Ducato di Spoleto e sulla Contea di Assisi, rimovendo il Duca reggente Corrado di Urlingen di Svevia. Il Popolo si ribellò ai privilegi imperiali dei Nobili, distrusse la rocca fortificata degli Hohenstaufen e s’impadronì del potere politico della città. La maggior parte dei nobili, intimorita, fuggì nella vicina Perugia. Da quella città, rinsaldati con i perugini da vincoli di rivalsa, mossero una guerra fratricida contro la Contea di Assisi che, povera d’uomini e d’armi, subì a Ponte San Giovanni, sul Tevere, presso Collestrada, la disfatta definitiva. Là, tra i fumi acri del pulviscolo, che sale dalla terra rimossa dai ferri di cavalli e bagnata dal sangue versato da tanti giovani trafitti dalle spade e dalle lance, vi era, infervorato da spirito cavalleresco, Francesco nel vigore dei suoi vent’anni, braccato, fatto prigioniero e introdotto nelle carceri perugine. Serrato in quel poco di spazio, così lontano e fuori dal suo mondo giocondo e scapestrato, Francesco patì fortemente quella condizione d’internato. Era quella vita da recluso l’esatto contrario di quella di sempre, che lo vedeva gagliardo animatore delle oziose serate assisane di svago e di baldoria, ovunque, nei rioni, nelle piazze, nelle osterie, insieme con gli amici festosi e spensierati. Storie che gli apparivano, in quello stato, d’altri tempi e d’altri luoghi. Dopo un intero anno di privazioni, a saldo di un cospicuo riscatto, versato ai nobili dalla famiglia, fu restituito della libertà ma non della salute, compromessa nel fisico e nello spirito.
(da “Nacque al mondo un Sole” di Nicola Savino)
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