A come… asino!
Dar dell’asino a qualcuno non è propriamente un complimento. Ma, tutto sommato, neppure una grossa offesa. L’asino è sì cocciuto, perso nei suoi pensieri, intento solo a ruminare o a girare in tondo legato alla ruota. Ma è allo stesso tempo un grande lavoratore, insensibile alla fatica, capace di incassare senza batter ciglio un bel po’ di poco gentili frustate. È cocciuto, anche nel senso di essere risoluto e affidabile. Chiedetelo ai contadini o agli alpini di una volta! Non per niente Sansone è facendo roteare con violenza una mandibola d’asino che farà fuori «mille uomini» (Gdc 15,15; versetto citato e applicato a Francesco da papa Gregorio IX nella bolla di canonizzazione dello stesso Francesco, Mira circa nos 3: FF 2722). Non è simpatico a prima vista, non trova posto facilmente tra i peluche dei bambini, ma alla lunga è persino coccoloso e morbidoso da accarezzare. Forse è per questo, e perciò non solo con intento denigratorio o negativo, che Francesco chiama il suo corpo «frate asino» (2Cel 116: FF 703). Certo, secondo la mentalità del tempo, c’era da sottomettere, punire, tenere a freno, vincere le tentazioni, tenersi lontano dalla lussuria. E Francesco in tutto questo non si tirò certo indietro, anzi. “Corpo” diventava sinonimo di “carne”, e “carne” di “peccato”. Così la filosofia, e la teologia. Del resto, tra povertà estrema e situazioni igieniche che erano quel che erano, c’era anche ben poco di cui occuparsi o con cui trastullarsi.
Ma Francesco è troppo meravigliato dell’incarnazione di Gesù da restarsene semplicemente allineato col sentire comune (e infatti lui l’asino, e il bue, ce lo mette nel presepe di Greccio; LegM 10,7: FF 1186). Il corpo è, deve essere qualcos’altro. Deve aver a che fare con il nostro spirito, tanto che non ne potremmo fare senza: «E rivolgendosi al corpo, cominciò a dirgli tutto lieto: “Rallegrati, frate corpo, e perdonami: ecco, ora sono pronto a soddisfare i tuoi desideri, mi accingo volentieri a dare ascolto ai tuoi lamenti!”» (2Cel 211: FF 800).
È un “asino” che può persino portare Cristo (Mt 21,2), non solo nell’umiltà, ma nella regalità (Zc 9,9)! E, se all’inizio per colpa di un asino, Francesco e i suo primi compagni dovranno sloggiare dal tugurio di Rivotorto (1Cel 43: FF 398), alla fine, dopo il dono delle stimmate, un altro asino porterà anche lui, perso ormai in Dio, dalla Verna, via Sansepolcro, fino ad Assisi (2Cel 98: FF 685).
Per concludere, e forse pensando all’asino vero e proprio e a frate asino, che nel giorno di Natale, «per riverenza al Figlio di Dio, posto a giacere quella notte dalla beata Vergine Maria nella mangiatoia tra il bove e l’asino, in quella notte ognuno dia da mangiare in abbondanza ai fratelli buoi e asinelli» (CAss 14: FF 1560)!
Anche la sete dell’ “asino” è superiore al sabato: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi?» (Lc 13,15). Tant’è che anche della loro sete il Creatore si preoccupa (Sal 104,10-11). (Alfabeti improbabili. A zonzo tra Bibbia e Fonti Francescane/3)
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