La non ovvia libertà del servire (Lc 17, 7-10)
«Siamo servi inutili». Era necessario anche Gesù per demotivarci al lavoro e al servizio? Dopo tanto fare, anche inutili saremmo? Bella riconoscenza! Ottimo per valorizzare le risorse umane!
E’ l’ovvio reagire all’altrettanto ovvio attendersi un grazie a dovere fatto. Nulla di strano. Tuttavia Gesù insiste. Anche oggi va oltre l’ovvio. Per lui inutilità fa rima con libertà. In che modo?
Gesù ci mostra il sottile e pretenzioso diritto all’esser riconosciuti che soggiace a quel grazie. Il diritto preteso, appunto. Non la possibilità di partecipare a un progetto più ampio che non termini in un pur equo e corretto dare e avere. Che è pure un modo per farsi rispettare, niente da dire. Averne, in questi tempi quando la crisi morde e peggiora. Ma non è tutto.
L’essere servi inutili rimanda all’origine della nostra esistenza che ci è stata donata. L’aver fatto qualcosa anche di bello e di buono non determina né ripaga il diritto ad esistere. Questo lo abbiamo già avuto in dono. Fare il nostro dovere è la grazia di poter in qualche modo partecipare e collaborare a qualcosa di più grande di noi, pensato e voluto prima di noi. La nostra inutilità come servi è riconoscere che la realtà tutta è donata. E’ insensato accampare diritti di fronte a un dono previo e imprevedibile. Altrettanto insensato è accampare diritti di fronte a situazioni cui Dio poteva provvedere benissimo in altro modo, senza di noi. Dio ci libera dal dover giustificare il senso l’esistenza del mondo e la nostra. Dio ci libera da questo distorto e pesantissimo doverismo. Dio ci dichiara inutili per liberarci dall’imprigionante illusione di essere indispensabili. Il nostro servire non ci strumentalizza, ma è l’occasione offertaci di donarci in libertà, tra persone. E’ poter andare fieri di aver restituito il dono ricevuto facilitando i fratelli a fare altrettanto.
Di cosa posso andare fiero oggi? A chi ho facilitato gratuitamente la vita?
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