chi va, chi torna
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!». (Lc 17.11-19)
Domenica XXVIII del Tempo Oridnario – anno C – Prosegue la narrazione del cap. 17 di Luca avviata domenica scorsa. L’inizio dell’episodio richiama il tema del «viaggio» (cf. v. 11), tanto caro a Luca, per evidenziare un intervento formativo di Gesù nei confronti nella sua comunità in cammino. Il breve racconto di miracolo è tipico del terzo evangelista. Due particolari emergono come importanti: il contrasto fra «dieci» e «uno» (vv. 12.15); la sottolineatura sull’origine «straniera» dell’unico che torna (v. 18). L’intento del narratore è mostrare il passaggio dalla guarigione alla salvezza.
L’esperienza dello straniero lebbroso che incontra Gesù nel suo viaggio sta a indicare la vicenda di ogni uomo «lontano» da Dio: è l’inizio della nostra stessa storia. Eppure, l’incontro da solo non è sufficiente, perché – secondo il racconto – «dieci» furono «guariti» (vv. 12.14), ma «uno» solo fu «salvato» (vv. 15.19). C’è differenza, dunque, fra guarigione e salvezza. Gesù accorda miracolosamente la guarigione ai dieci lebbrosi, per dare loro un segno: per significare che egli è in grado di salvare la loro vita. Ma è necessario che ognuno sappia interpretare il segno ricevuto dal maestro e accetti tale proposta. Dei dieci sanati, solo «uno», «vedendosi guarito, torna indietro» (cf. v. 15), avendo fatto un collegamento fra quanto gli è capitato e la persona di Gesù. Il suo viaggio di ritorno è l’indizio di un riconoscimento: egli ha riconosciuto che Gesù è all’origine della sua guarigione, e di questo è grato (cf. v. 16).
Anche se «straniero» rispetto agli Israeliti, il samaritano può così godere della «salvezza» (vv. 18-19), perché condizione indispensabile per essere salvati non è l’appartenenza a un popolo o a una razza, ma l’accoglienza fiduciosa di Gesù Cristo, salvatore di ogni uomo.
In tempi difficili della prima storia francescana, Angelo Clareno cita indirettamente questa parabola evangelica lucana, applicandola ai frati perseguitati che sanno tornare al “padre” san Francesco:
«I perseguitati, come sentirono del suo ritorno, con sollecitudine, desiderio grande e immensa gioia del cuore vanno da lui, rendono grazie a Dio e, gettatiglisi davanti, abbracciano i piedi del pastore da tanto desiderato. Egli si da’ a rincuorare i pusillanimi, consola gli afflitti, corregge i facinorosi, rimprovera la colpa di quelli che avevano disperso il gregge, rappacifica con carità dispersi e dispersori, rianima e infiamma tutti, esortandoli e rassicurandoli a sostenere con gioia, per Cristo e l’osservanza della Regola, non solo le cose lievi ma anche le aspre, perfino la morte» (Angelo Clareno, Libro delle tribolazioni : FF2158).
S.Antonio di Padova dedica un lungo sermone a questo testo evangelico, dove sottolinea la gratitudine di chi fa esperienza di guarigione profonda nella salvezza dell’anima:
Ti preghiamo dunque, Signore Gesù Cristo, di mondarci dalla lebbra dei peccati, per poter essere riammessi nell’assemblea dei santi e meritare di salire con te alla celeste Gerusalemme. Accordacelo tu, che sei benedetto nei secoli. Amen. (Sermoni, Domenica XIV dopo Pentecoste, 14)
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