questioni di vista
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: ‹Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio›, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”. (Lc 6,39-45)
Domenica VIII del Tempo ordinario – anno C – Il testo fa ancora parte dell’ampio «discorso della pianura» che la liturgia ci propone da due settimane. I destinatari sono sempre i dodici, i discepoli e le folle (cf. Lc 6,13.17.27). Dal punto di vista letterario, troviamo una parabola carica di quesiti, nei quali è già chiara la risposta. Gesù pone le domande perché vuole provocare l’assenso, l’adesione dei suoi ascoltatori a quello che sta dicendo.
Gesù, in questa parte del «discorso della pianura», coinvolge in modo ancora più diretto i suoi ascoltatori con una parabola che contiene una serie di quattro domande molto forti: «Un cieco può guidare un altro cieco? Non cadranno tutt’e due in una buca?» (v. 39); «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello? Non vedi la trave che è nel tuo?» (v. 41).
Le quattro immagini vertono sulla realtà dell’occhio. Si tratta di domande iperboliche. Il rapporto fratello-trave, pagliuzza-occhio tende a rimuovere un grosso ostacolo: l’ipocrisia! Centrale nell’argomentazione di Gesù è la parola «ipocrita!» (v. 42). Il maestro mette a nudo le radici e le conseguenze dell’ipocrisia: è una condotta che non esprime il pensare del cuore. Ma lavorando pazientemente con gli strumenti dell’umiltà la trave del proprio occhio, se ne possono trarre occhiali buoni per tutti!…
Nel successivo esempio dell’albero (cf. vv. 43-45), Gesù afferma che non si possono raccogliere da un albero malato frutti sani, i frutti dell’uomo rivelano la verità del suo cuore (buono o malvagio) come centro della persona. La parabola dell’albero è frequentemente usata nella Scrittura. Il popolo di Dio (Isaia 5) è paragonato ad una vigna che produce solo frutti scadenti. E Gesù, dopo aver paragonato i suoi discepoli ai tralci, ricorda loro (Gv 15,8) che devono produrre “molto frutto”. Qui, in Luca, c’è un invito ad un sano realismo: sarete giudicati dai frutti che produrrete. Riprenderà poi una parabola dello stesso tipo in 13,6-9 dove è pure importante lo sguardo sull’albero:
«Diceva anche questa parabola: “Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
Giovanni il Battista usava la stessa immagine per chiedere alle folle la conversione: «Fate dunque opere [= frutti] degne di conversione… Ogni albero che non porta buon frutto sarà tagliato e gettato nel fuoco» (Lc 3,8-9).
“Cammino sicuro” alla “sequela del vero Maestro” nel “dare buoni frutti” sono i consigli che questa domenica ci lascia all’ormai prossimo tempo di Quaresima 2019!
Francesco d’Assisi trae conclusioni concrete per la sua fraternità alla luce della pagina evangelica lucana:
«…Sovente Francesco soggiungeva: “Un uomo è tanto sapiente quanto opera, ed è pio e bravo predicatore nella misura in cui mette in pratica; poiché l’albero si riconosce dai suoi frutti”…» (Specchio di perfezione, 4 : FF 1684).
Anche Antonio di Padova non manca di attualizzazioni molto caustiche nella riflessione sui versetti di Luca:
«Il cieco raffigura il prelato o il sacerdote, indegni o corrotti, privi della luce della vita e della scienza. […] Tutti camminano per la loro strada, non sulla strada di Gesù Cristo, ciascuno pensando ai propri interessi. È quella strada buia e scivolosa (cf. Sal 34,6) sulla quale tutti procedono, dal più elevato al più basso […] Ti preghiamo, dunque, Maestro e Signore, buon Gesù, di illuminare i ciechi, di istruire i tuoi discepoli e di mostrare loro la via della vita, per la quale possano giungere a te, che sei la via e la vita. Accordacelo tu che sei benedetto nei secoli dei secoli. Amen» (Sermone Domenica IV dopo Pentecoste, 13. 17.).
«Le primizie dello Spirito sono la contrizione e l’amarezza per i peccati, che per prima cosa devono essere offerte al Signore. I santi che le hanno, non guardano la trave nell’occhio altrui, non giudicano nessuno, non condannano nessuno, ma gemono e sospirano dentro se stessi nell’amarezza della loro anima, aspettando l’adozione, vale a dire l’immortalità del corpo. Di questa immortalità ci faccia partecipi colui che è morto per noi, che veramente risuscitò, Gesù Cristo, Signore nostro, al quale è onore e gloria, con il Padre e lo Spirito Santo, nei secoli eterni. E ogni anima misericordiosa risponda: Amen. Alleluia!» (Sermone Domenica IV dopo Pentecoste, 20).
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