si mise in cammino
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino. (Lc 4,21-30)
IV Domenica del Tempo Ordinario – anno C – Prosegue la proposta (avviata domenica scorsa) del racconto di Luca riguardo l’inizio della predicazione di Gesù. Siamo ancora nella sinagoga di Nazaret, Gesù ha appena letto un passo del profeta Isaia durante la liturgia del sabato (cf. Lc 4,14-20). L’evangelista riporta ora il commento del maestro e la reazione degli ascoltatori presenti nella sinagoga (vv. 22-27). È l’inizio del ministero pubblico di Gesù, una missione che contiene, già al primo annuncio, l’influsso decisivo dello Spirito e i segni drammatici del rifiuto del Messia, con il tentativo di eliminarlo (vv. 28-30).
L’inizio del ministero pubblico di Gesù viene presentato con una scena drammatica. Gesù comincia a interpretare il profeta Isaia affermando: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura» (v. 21). Nella forma temporale «oggi» si può individuare il momento che vuole mostrare l’attualità di una Scrittura devitalizzata da una prassi che l’ha trasformata in legge e precetto, ignorandola nel suo valore di parola dialogante. In Gesù «oggi» tutto riparte, il progetto di Dio riprende vita. Ma Gesù è cosciente che «nessun profeta è ben accetto in patria» (v. 24). I riferimenti ai personaggi biblici del passato, al tempo di Elia e di Eliseo, e l’esclusione di Israele dalle azioni salvifiche dei profeti evidenziano situazioni che potrebbero ripetersi. La reazione degli ascoltatori è molto forte. Da un atteggiamento di ascolto, passano a quello di un rifiuto deciso: «Tutti […] si levarono, lo cacciarono fuori della città […] per gettarlo giù dal precipizio» (vv. 28-29).
L’incomprensione della gente di Nazaret è tale che giungono a condannare Gesù; lo conducono fuori della città per ucciderlo. Come ha fatto il demonio, lo conducono su un’altura (monte) per farlo perire. Il «ciglio» richiama sia il pinnacolo del tempio (4,9) dove il demonio propose a Gesù di «buttarsi giù», sia lo scoscendimento del Golgota (23,33) dove sarà «innalzato sulla croce». Il lettore in questo modo è guidato a riconoscere fin dagli inizi della missione di Gesù il termine della Passione che ne sarà il compimento.
La prova è condotta fino in fondo. Come nella tentazione e più tardi ai piedi della croce, una possibilità è stata offerta a Gesù: «buttati giù: gli angeli ti custodiranno» (4,10); «Medico, cura te stesso» (4,23); «Salva te stesso» (23,37). Ogni volta Gesù rifiuta: non è questa la sua missione: «Non tenterai il Signore Dio tuo» (4,12).
Minacciato di morte, non cambia strada. La sua via è la via di Dio.
Anni dopo proveranno a trafiggere quei piedi con uno o due chiodi sulla croce, per fermali. Non basterà neppure questa crudeltà. Proveranno a togliergli la vita. Ma la sua vita non può essere tolta: perché Lui può solo donarla. e perché Lui – vivo – si è rimesso in cammino.
Un richiamo alla determinazione di Cristo lo troviamo nel racconto dei primi tempi della conversione di Francesco, in cammino nonostante il rifiuto della gente e passando in mezzo al pericolo:
«In digiuno e pianto [Francesco] supplicava con fervore e insistenza il Signore. Diffidando delle proprie virtù e risorse, tutte le sue speranze le gettò nel Signore, il quale, benché Francesco fosse ancora nelle tenebre, gli infondeva una certa ineffabile gioia e lo illuminava con una luce mirabile. Finché un giorno, tutto infuocato di entusiasmo, lasciò la caverna e si mise in cammino verso Assisi, vivace, lesto e gioioso. Armato di fiducia in Cristo e acceso di amore divino, rinfacciando a se stesso la codardia e la vana trepidazione, si espose senza nascondersi alle mani e ai colpi dei persecutori. Al primo vederlo, quelli che lo conoscevano com’era prima, presero a insultarlo, gridando ch’era un insensato e un pazzo, gettandogli addosso fango delle piazze e sassi. Vedendolo così cambiato dai costumi di prima, sfinito dalle penitenze fisiche, attribuivano ogni sua azione ad esaurimento e a follia. Ma il cavaliere di Cristo passava in mezzo a queste cose come un sordo, non lasciandosi scuotere o cambiare dalle ingiurie, rendendo invece grazie a Dio» (Leggenda dei tre compagni, 17 : FF 1417).
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