divine sproporzioni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 15,9-17).
VI domenica di Pasqua – anno B – Il frate francescano fra Luca Pacioli scrisse nel 1497 il trattato “De divina proportione”, corposo trattato di approfondimento e studio sulla “sezione aurea” e la sua perfezione che – in quanto tale – riflette il divino. Ascoltando le parole di Gesù riportate dall’evangelista Giovanni nel suo capitolo 15 – invece – sembra davvero di osservare una sproporzione nella proposta evangelica: amare come Lui ci ha amato! Amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amato! Dare la vita per gli amici!… Ma lui è Dio, e noi creature… come si fa a chiederci così tanto?
L’amore obbediente di Gesù per suo Padre, cui corrisponde l’amore del Padre che lo glorifica, costituisce il modello e il fondamento dell’esistenza cristiana. L’amore che risponde a quello di Cristo si esprime concretamente con l’osservanza dei suoi comandamenti (vd. Gv 14,15.21), cioè nel comandamento dell’amore vicendevole (15,12; 13,34; 1Gv 2,3-8; 3,22-23). Il modo di vivere di Gesù non offre soltanto una norma o uno stile, ma fonda anche la possibilità di vivere pienamente l’amore e la mutua edificazione. Contrariamente a Matteo, Marco e Luca, Giovanni evangelista non parla dell’amore “del prossimo”, ma dell’amore mutuo dei discepoli.
Se la morte di Gesù in croce fu l’espressione massima del suo amore per il Padre (14,30), è anche il vertice del suo amore per coloro che egli ha reso amici (13,1.34): è qui la norma e il fondamento dell’amore fraterno! Amore amicale! Il servo è considerato come l’esecutore di ordini di cui non può capire il significato e l’effetto; l’amico, al contrario, obbedisce e collabora con conoscenza di causa. Gesù tratta i suoi discepoli come amici perché ha rivelato loro completamente le intenzioni del Padre. Ossia l’amore infinto del Padre.
E’ lui che ci ha scelti, che ha preso l’iniziativa: per l’evangelista Giovanni la scelta di Gesù è l’espressione della scelta del Padre (6,44; 17,2). La risposta a questa scelta è la fede, che ci rende consapevoli dell’essere “amici” e non “servi”.
Una persona può comandarmi di amarla? E’ un contro-senso! L’amore presuppone la libertà, non la costrizione! Per questo Gesù non dice: “Amàtemi!”. Dice però: “Amatevi gli uni gli altri” e di farlo tenendo presente la sua unità di misura: “come io ho amato voi”.
“Qual è la misura dell’amore? Amare senza misura”, pare dicesse sant’Agostino.
Bibbia Francescana ci riporta non poche attenzioni di Francesco per questo “comandamento nuovo” proposto da Cristo:
«Infatti, chi sostiene la persecuzione piuttosto che volersi separare dai suoi fratelli, rimane veramente nella perfetta obbedienza, poiché offre la sua anima (Gv 15,13)per i suoi fratelli» (Francesco d’Assisi, Ammonizioni, III : FF 150).
«…E [i frati] si amino scambievolmente, come dice il Signore: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate scambievolmente come io ho amato voi». E mostrino con le opere l’amore che hanno fra di loro, come dice l’apostolo: «Non amiamo a parole né con la lingua, ma con le opere e in verità» (Francesco d’Assisi, Regola non bollata, XI : FF 37).
«Scrivi che benedico tutti i miei frati, che sono ora in questa Religione e quelli che vi entreranno sino alla fine del mondo. E siccome, a motivo della debolezza e per la sofferenza della malattia, non posso parlare, brevemente manifesto ai miei frati la mia volontà in queste tre parole. Cioè : in segno e memoria della mia benedizione e del mio testamento, sempre si amino gli uni gli altri, sempre amino ed osservino nostra signora la santa povertà, e sempre siano fedeli e sottomessi ai prelati e a tutti i chierici della santa madre Chiesa» (Francesco d’Assisi, Piccolo testamento di Siena : FF 132-135)
«[Francesco] Non si riteneva amico di Cristo, se non amava le anime che egli ha amato (Gv 15,14.15). Ed era appunto questo il principale motivo per cui venerava i dottori di sacra teologia, perché come collaboratori di Cristo esercitavano con lui lo stesso ufficio. Ma al di sopra di ogni misura amava di un amore particolarmente intimo, con tutto l’affetto del cuore, i frati, come familiari di una fede speciale e uniti dalla partecipazione all’eredità eterna» (Tommaso da Celano, Vita seconda, 172 : FF 758).
Il frate Antonio di Padova – con maggiore dimestichezza con le Sacre Scritture – medita così:
«Il testamento è così chiamato perché è una volontà scritta e confermata alla presenza di testimoni. La volontà di Dio è la volontà del suo amore e dell’amore del prossimo, che fu scritta nella legge della natura, delle tavole, e della grazia, confermata da testimoni, ai quali ha detto: “Questo è il mio comandamento, che vi amiate a vicenda” (Gv 15,12). Questo testamento fu confermato con la morte del testatore. Dice Giovanni: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1), cioè fino alla morte. Questo, non perché con la morte finisca il suo amore, ma perché li amò talmente che l’amore lo portò fino alla morte.
Ti preghiamo dunque, Signore Gesù, che tu ci leghi con l’amore verso di te e verso il prossimo in modo tale, da riuscire ad amarti “con tutto il cuore”, cioè così profondamente da non essere mai distratti dal tuo amore; “con tutta l’anima”, cioè con sapienza, per non essere ingannati da altri amori; “con tutte le forze e con tutta la mente”, cioè con grande tenerezza per non essere mai indotti a separaci dal tuo amore; ed amare poi il prossimo come noi stessi. Accordacelo tu, che sei benedetto nei secoli dei secoli. Amen» (Antonio di Padova, Sermoni, Sermone domenica XIII dopo Pentecoste).
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