Passione e morte di san Francesco

Passione e morte di san Francesco

Dopo un periodo di forzato riposo, sperando invano di ritemprare il suo corpo infermo, sebbene impedito nel camminare, Francesco volle comunque intraprendere una nuova missione apostolica, muovendosi, questa volta, dentro il perimetro Umbro ed in parte nelle Marche.
Purtroppo, però, nonostante in groppa ad un asinello ed aiutato dai suoi confratelli, erano quelle pellegrinazioni delle dolorosissime stazioni della Via Crucis, dalle quali dovette ben presto desistere.
Era ormai preda dei suoi mali; la vista si era quasi completamente offuscata. Chiara e le Povere Dame, premurosamente, s’offrirono di prendersi cura del venerato Padre. Francesco accettò di concedersi alle affettuose attenzioni delle povere dame ed andò a vivere da loro a San Damiano. Fu quello un periodo, nonostante le “sorelle” sofferenze, come egli le chiamava, di ritrovata serenità.  La natura che più non vedeva l’avvertiva dall’armonia dei suoni, a volte impercettibili e misteriosi, che alita la vita delle creature, che vivono e si rigenerano nella combinazione degli elementi e attestano la magnificenza del creato; poi là c’era Chiara, la luce dei suoi occhi, il riflesso del suo cuore innamorato. A lei dettò le sue preghiere, a lei cantò per prima il “Cantico di Frate Sole”. Chiara lo ascoltava con amorevole trasporto e scriveva quei brani, quei versi dettati direttamente dall’anima semplice e candida di quel giullare, che parlava con la voce di Dio.
Chiara era la pace, l’unguento, che leniva con la forza dell’amore i dolori del suo corpo, sollecitato dagli spasmi di infinite tribolazioni. Intanto, i suoi mali diventavano, giorno dopo giorno, sempre più gravi, abbisognosi di continue cure specialistiche e di terapie intensive, il Vescovo Guido, per far sì che Francesco ricevesse tutte le visite necessarie di medici e di assistenti, in qualsiasi ora del giorno e della notte, lo volle in Curia, dove fece allestire appositamente un’ampia e soleggiata sala.
Gli occhi, ormai senza luce, gli procuravano continue fitte lancinanti; dopo tanta insistenza, lo convinsero di recarsi a Rieti, ove fu sottoposto ad un delicato e dolorosissimo intervento chirurgico, con la tecnica della cauterizzazione degli occhi, attraverso uno strumento di ferro forgiato a fuoco, infisso a crudo nella carne; ma, sebbene operato dagli esperti medici della corte papale, non s’ottenne alcun risultato.
Lì a Rieti, nel palazzo vescovile dove fu ospite, le sue condizioni di salute peggiorarono; ai tanti mali si sommava ora un’emorragia allo stomaco, acuita da una disfunzione del fegato. In quello stato, sentendosi prossimo alla morte, dettò il suo “testamento”, nel quale, dopo aver richiamato le tappe salienti della sua conversione e del suo apostolato, su indicazione e volere del Signore, esorta la “fratellanza” di non dismettere mai le missioni evangeliche e di restare ancorati e fedeli alla vita prescritta da Cristo. Ormai il corpo di Francesco era diventato cavia, traslocata, con o senza la sua volontà, tra studi medici ed ospedali; da Rieti fu trasportato a Fabriano, poi spedito a Siena, da lì fu introdotto alle Celle presso Cortona, col solo risultato dell’aggravarsi dei mali. Dopo un arco di tempo che sembrò lungo quanto l’eternità, persa ogni speranza di guarigione, posero fine a quel Calvario e, dopo una breve pausa nell’area salubre e fresca delle alture di Bagnara, fu riportato in Curia ad Assisi.
La sua vita era ormai espressa solo da un flebile respiro, sotteso ad una lenta agonia, tanto che “medici e frati non riuscivano a capacitarsi come potesse il suo spirito continuare a vivere in una carne ormai morta e tanto consumata che non possedeva più se non la pelle aderente alle ossa”.
Pochi giorni prima di spirare, sentendosi la morte nelle vene, volle che lo portassero alla Porziuncola, ad attendere il bacio con Cristo nella pace di Santa Maria degli Angeli.
I frati, per sua volontà, lo trasportarono a braccio su una barella, tra la commozione del popolo assisano. Appena fuori le mura, chiese di fermarsi, si girò sul tronco, rivolse per l’ultima volta, lo sguardo alla sua città e col segno della Croce la benedisse. Poi proseguirono oltre sulla piana, con dietro l’intera cittadina raccolta in un lungo corteo accorato e composto, fino a raggiungere la Casa Madre. Appena là, volle consumare con i frati, come Cristo con gli Apostoli, l’ultima cena. Dopo di che, si fece disporre “tutto nudo sulla nuda Terra” ad aspettare la morte, che, con pietà e pudore, lo raggiunse e lo elevò alla gloria dei cieli. Finanche la morte in Francesco fu lieve e soave, come la pace di un sonno profondo, protetto dalla Grande Madre e vegliato dallo Spirito Santo.
E là, tra le antiche pietre di Santa Maria degli Angeli, tra i fumi velati d’incenso e quieti mormorii di preghiere, tributi all’anima, che ascende e si concede a Dio, s’amplificava, sublimato, il canto della sua lode: «Laudato sì’ mi’Signore, per sora nostra morte corporale,/ da la quale nullu homo vivente po’ skappare:/ guai a’cquelli, ke morrano ne le peccata mortali;/ beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati, ka la morte seconda no’l’farrà male».
(da “Nacque al mondo un Sole” di Nicola Savino/24)

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ARTICOLO DI: Nicola Savino

“Nicola Savino, classe 1953, Sociologo presso la Regione Campania, s’interessa prevalentemente delle dinamiche demografiche e delle politiche attive del lavoro. È autore di numerosi saggi, opere di narrativa e sillogi di poesie. Tra le sue ultime pubblicazioni: Nacque al mondo un Sole (Robin Edizioni, 2011), La Battaglia di Poitiers. La causa santa e l’arte della guerra (Robin Edizioni, 2014); è in coso di stampa La Vendetta della natura e la grande moria, che chiude la trilogia “Flashback sull’Evo di Mezzo”.”

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