Lc 22,27

prima della festa di Pasqua

prima della festa di Pasqua

«Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. […] Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: “Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,1 passim).

Anche noi ci troviamo ormai poco “prima della festa di Pasqua”.
Il cammino di quaresima ci ha portato alla sequela di Gesù fino alla nostra Gerusalemme interiore?

L’evangelista Giovanni nel suo racconto è tutto proteso verso l’ “ora”, punto culminante della vita di Gesù: alle nozze di Cana l’ora «non è ancora giunta» (Gv 2,4), nell’ultima cena invece «è giunta» (v.1). Il banchetto si apre con una presa di coscienza di Gesù («Sapendo»: vv.1.3) sulle dimensioni della sua identità: verticale con il Padre e orizzontale con i discepoli. Questa si riassume nel verbo «amare», di cui è segno eloquente la lavanda dei piedi. Al posto dell’istituzione eucaristica l’evangelista racconta un gesto di servizio che si comprende più a fondo con le parole pronunciate, secondo Luca, da Gesù nell’ultima cena: «lo sono in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27).

Il contesto – Quello esteriore è relativo allo spazio (Gesù siede «a tavola» con i suoi discepoli: vv.4.12) e al tempo («Prima della festa dì Pasqua»: v.1). Spesso nel vangelo di Giovanni la rivelazione dell’identità di Gesù è legata a una festa giudaica (ad esempio la Dedicazione del tempio: Gv 10,22). Qui la Pasqua è collegata al fatto che per Gesù è l’ora di «passare» da questo mondo al Padre (v.1; cf. Es 12,12). Il contesto interiore è dato dal verbo «sapere» che, come altre volte (cf. Gv 18,4; 19,28), mette in rilievo la piena consapevolezza di Gesù. Ha un triplice contenuto: il senso del tempo («Sapendo che era giunta la sua ora»: v. 1); il rapporto d’amore di Gesù verso i discepoli («Dopo aver amato i suoi li amò sino alla fine»: v. 1), non escluso Giuda che lo tradiva («Sapeva chi lo tradiva»: vv. 2.11); il suo rapporto di comunione con il Padre («Sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava»: v. 3).

Il gesto – In quel contesto solenne Gesù compie un gesto umilissimo. Inverte le parti: non sono i discepoli che lavano i piedi del maestro, ma il maestro lava i piedi dei discepoli, compresi quelli di Giuda (vv. 2.11) e di Pietro (vv. 6-10), che lascia cadere le sue obiezioni davanti all’argomento della comunione con Gesù («Se non ti laverò, non avrai parte con me»: v.8).

Mi soffermo incuriosito sulle mani di Gesù. Giovanni afferma solennemente che Gesù sapeva «che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani». Un’espressione emblematica già trovata in 3,35: «Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa». In quelle mani il segno che Gesù è Signore di tutte le cose: la morte-risurrezione rivela quello che era fin dal principio, il Figlio che tutto ha ricevuto dal Padre. Nel momento in cui sta per descrivere l’umiliazione del Figlio di Dio, Giovanni ricorda che colui che sta per abbassarsi a fare lo schiavo, è il Signore, il Figlio uguale al Padre.

Mani onnipossenti ed onnipotenti. Mani che affermano e dimostrano la loro onnipotenza e “onnicontinenza”… riempendosi di piedi altrui! Mani che di lì a poco riaffermano la loro onnipotenza e “onnicontinenza”… spezzando pane e dividendolo, versando vino e distribuendolo!

Davvero troppo per una certa umanità che reagisce legandogli le mani (18,12), percuotendole (19,1), slegandogliele perché portino la croce (19,17), trafiggendole con due chiodi (v.18): fermiamole! Blocchiamo queste mani così stolte che da onnipotenti si riempiono di banalità: piedi, pane, vino…

Mani trafitte, mani inchiodate, in un gesto di innaturale abbraccio universale che non arrivano a tergere col tatto le lacrime di una mamma ai piedi di una croce, ma che vengono sostituite da una Parola creatrice, abbraccio e balsamo: «”Donna, ecco tuo Figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre”» (vv.26-27).

Povere mani bucate e trafitte, che nulla trattengono perché tutto offrono.
Dirà san Francesco: «Nulla, dunque, di voi trattenete per voi, affinché tutti e per intero vi accolga Colui che tutto a voi si offre» (Lettera a tutto l’Ordine, FF221).

Gloriose mani bucate che diventano il segno distintivo dell’identità del Risorto: «La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore» (20,19-20).

San Francesco ama il gesto del giovedì santo: lo propone ad esempio per sé e per i fratelli: «E nessuno sia chiamato priore, ma tutti allo stesso modo siano chiamati frati minori. E l’uno lavi i piedi dell’altro» (Regola non bollata, VI: FF23). E quasi arguto e sarcastico afferma nelle Ammonizioni (IV: FF152): «”Non sono venuto per essere servito, ma per servire”, dice il Signore. Coloro che sono costituiti sopra gli altri, tanto devono gloriarsi di quell’ufficio prelatizio, quanto se fossero deputati all’ufficio di lavare i piedi ai fratelli. E quanto più si turbano se viene loro tolta la prelatura che se fosse loro tolto il compito di lavare i piedi, tanto più mettono insieme per sé un tesoro fraudolento a pericolo della propria anima».

E anche l’incontro con sorella morte viene ritualizzato da Francesco sul calco del Maestro: lui stesso già con le stimmate nelle mani…

«…mentre i frati versavano amarissime lacrime e si lamentavano desolati, si fece portare del pane, lo benedisse, lo spezzò e ne diede da mangiare un pezzetto a ciascuno. Volle anche il libro dei Vangeli e chiese che gli leggessero il Vangelo secondo Giovanni, dal brano che inizia: Prima della festa di Pasqua, ecc. Si ricordava in quel momento della santissima cena che il Signore aveva celebrato con i suoi discepoli per l’ultima volta, e fece tutto questo appunto a veneranda memoria di quella cena e per mostrare quanta tenerezza di amore portasse ai frati» (1Cel 217: FF808).

 

 

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ARTICOLO DI: Andrea Vaona

“fr. Andrea Vaona - francescano conventuale, contento di essere frate. Nato sul limitare della laguna veneta, vive in città con il cuore in montagna, ma volentieri trascina il cuore a valle per il servizio ministeriale-pastorale in Basilica del Santo a Padova e con l'OFS regionale del Veneto. Scrive (poco) e legge (molto). Quasi nativo-digitale, ha uno spazio web: frateandrea.blogspot.com per condividere qualche bit e idea.”

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