Giovani frati in carcere – testimonianze #1

Giovani frati in carcere – testimonianze #1

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«È difficile?». Questa è la domanda che mi sento rivolgere spesso quando qualcuno scopre che passo i miei fine settimana in carcere. Di solito sorrido. Mi viene da pensare che è una domanda che contiene già la risposta, come quando mi chiedono: «ma non hai freddo a piedi scalzi?». In realtà, sotto sotto, si sta chiedendo un’altra cosa: «ma che senso ha? Perché fare questa fatica?».
È la stessa domanda che possiamo fare a Gesù dopo aver ascoltato il Vangelo della Risurrezione di Lazzaro (il capitolo 11 di Giovanni). «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?» gli chiedono i discepoli, per poi rassegnarsi: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
Perché rischiare la vita? Perché fare questa fatica? Si stava così comodi «al di là del Giordano», al sicuro, nel deserto.
Qualche versetto dopo si intravede la risposta: «guarda come lo amava!».
L’amore è qualcosa che si vede. L’amore è qualcosa che ti mette in moto, ti fa rischiare tutto, ti scomoda. Qualcosa che ti fa piangere, e qualcosa che ti fa ridere. Così è anche in carcere.

Piange Marta, piange Maria, stanno male persino i Giudei (anche i “cattivi” stanno male per amore). Piange anche Gesù. Amare fa anche piangere, e questo rende l’amore qualcosa che si vede. Anche il male è qualcosa che si vede, che si sente. Così in carcere…
Mi ricordo la prima volta che ci sono entrato, qualche mese fa, pensavo «avrò davanti agli occhi ladri, spacciatori, mafiosi, pedofili, stupratori… vite che sono state quasi distrutte dal male». Dico “quasi” perché in realtà da subito, un istante dopo che i miei schemi mentali spontaneamente si fanno un po’ da parte, lasciano spazio a ciò che si vede («la realtà è superiore all’idea»), ti trovi davanti delle persone. Persone, come me, come te. La maggior parte di loro, se li trovi per strada, non diresti mai che sono delinquenti. Allora ti trovi a mettere da parte i tuoi giudizi, con fatica, aprire piano piano gli occhi e ascoltare con le orecchie. Ascoltare racconti di vita, e lasciare che il male che lì dentro si è consumato ti faccia male, ti stringa lo stomaco. E lasciare che quel male ti spacchi dentro, ti faccia piangere, come Gesù.
Il carcere è un luogo dove non ci sono tante risposte, non esci di lì dicendo «ho capito». Forse davanti al male che si vede, e anche davanti all’amore che si vede, non abbiamo tante risposte. Anche in questo Vangelo ci sono tante domande senza risposta: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva far sì che costui non morisse?». Gesù non ci dà tante risposte. Forse però ci fa vedere (o intuire) come fa lui davanti al male. Noi dividiamo il mondo in “buoni e cattivi”, lui invece divide “peccato e peccatori” (oppure il reato dal carcerato). Lui sempre ama e salva l’uomo, odia e condanna il peccato! Davanti al male Gesù sempre com-patisce, si fa compagno di viaggio, perché per lui “giustizia” non è qualcosa che si applica, per lui “giustizia” è qualcosa che si cerca, insieme.

Però poi si ride, anche in questo Vangelo. Ok, non c’è scritto, ma ce la immaginiamo la gioia di Lazzaro, la gioia di Marta e Maria, la gioia di Gesù. Anche in carcere la gioia è qualcosa che ti sorprende. Sono i gesti di bene enormi che ci sono lì dentro: detenuti che ne accudiscono altri, gli agenti con il loro motto «diffondere la speranza sempre», le mogli che aspettano 10, 20, 30 anni il marito, le mamme che non abbandonano mai.
Proprio questo è quello che fa Dio! Dio è Dio solo se fa passare da morte a vita, dal sepolcro/carcere alla liberazione. E, se stiamo a questo brano di Giovanni, liberazione è un passaggio difficile, lento, che ha bisogno di tempo, dedizione, gratuità, e la volontà di una squadra di persone, e dello stesso “morto” che deve voler “venire fuori”! Ci deve essere qualcuno che toglie la pietra, qualcuno che urla «vieni fuori», qualcuno deve togliere con calma e amorevolezza le bende, medicare, sanare
Allora la domanda chiave davanti a tutto questo ce la pone proprio Gesù: «Credi questo?».
Dio non ci molla, non ci lascia nel sepolcro, anche se il nostro è un sepolcro del tipo “fine-pena-mai”, un sepolcro da ergastolani.
Lui non ci lascia lì, non ci abbandona mai! Tu credi questo?

fr. Nico

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ARTICOLO DI: Giovani Frati

“Siamo un gruppo di 23 GIOVANI FRATI Francescani Conventuali impegnati nella formazione iniziale, fra lo studio della teologia e le prime esperienze missionarie (in parrocchia, nella Basilica di s. Antonio, in ospedale, in carcere, e in altre realtà sociali). Abbiamo dai 22 ai 47 anni e arriviamo da diverse zone dell’Italia (Triveneto, Emilia-Romagna, Lombardia…), dell’Europa (Francia, Malta, San Marino, Romania, Ungheria) e del Mondo (Ghana, Burundi e Indonesia) e viviamo nel Convento Sant'Antonio Dottore, in via San Massimo, a Padova.”

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