Mt 4,1-11

condotti e/o sedotti

condotti e/o sedotti

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo.
Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame.
Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane».  Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”».
Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”».  Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai».  Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano. (Mt 4,1-11)

I domenica di quaresima, anno A – L’evangelista Marco presenta la scena della tentazione di Gesù in due versetti concisi (1,12-13). Matteo e Luca, invece, sviluppano il tema della tentazione in modo teologico. Essi vogliono premunire il lettore cristiano contro le illusioni e le tentazioni messianiche.

Come può un Gesù tentato, essere modello per i cristiani? Luca (3,38) lo descrive come il nuovo Adamo che respinge la tentazione; Matteo lo presenta come colui che rivive in sé la storia d’Israele, in particolare l’Esodo e le tentazioni del deserto. Gesù, differenziandosi dal suo popolo, esce vittorioso dalla prova; egli attinge la sua forza dalle Scritture. Ciò significa che per Matteo un Ebreo attento alla Scrittura può e deve respingere le illusioni messianiche e per questo ascoltare e seguire Gesù. A maggior ragione, questo è un insegnamento importante per il lettore cristiano: la conoscenza e la pratica di quanto è proposto nelle Scritture è la via privilegiata per vincere le tentazioni del diavolo, il “separatore” (secondo l’etimologia del termine greco), colui che anela a separare da Dio.

La cosa che emerge nel primo versetto è  che Gesù “è condotto dallo Spirito nel deserto”. Lo Spirito che lo abita dal battesimo (versetti precedenti alla narrazione delle tentazioni) è lo stesso che conduce Gesù nel deserto: Gesù non è solo. E’ condotto da Dio nell’esperienza ambivalente del luogo del ritiro silenzioso e al contempo inospitale e arido.

E proprio nel momento della maggiore debolezza («ebbe fame») ecco che quel Gesù-non-solo è avvicinato da chi vuole separarlo dal Padre, da chi non vuole condurlo ma sedurlo, portarlo-a-sé. Il dialogo serrato e drammatico con le tre domande sarà solo l’articolazione della tentazione/seduzione di fondo: in un crescendo fino alla proposta vertiginosa di un potere su tutto a patto che Gesù si getti ai piedi del seduttore.

Essere condotti dallo Spirito di Dio nella libertà o essere sedotti da chi ti paralizza ai suoi piedi nell’inganno di un potere assoluto sulle cose e uomini ma senza libertà di allontanarti perché prostrato?

Un Dio che conduce chi lo ama e chi si lascia amare da lui, oppure uno spirito che seduce sostituendo l’amore con il potere sulle cose?

Resta l’abisso del mistero che a Gesù, benché condotto dallo Spirito, non è risparmiata la prova del confronto con il tentatore seduttore.

La fragilità della solitudine spiana la strada al seduttore: solitudine dagli affetti, solitudine da un Dio dimenticato, smarrito, invocato o imprecato perché ritenuto assente, inesistente, incapace.

Quanto una comunità di credenti può soccorrere queste solitudini così esposte al seduttore? Quanto riesce a farlo?

Francesco ci insegna che quella solitudine e paura possono essere spezzate anche solo con un frammento di pergamena: la famosa “Benedizione a Frate Leone” (FF 262) contenente le “Lodi di Dio Altissimo” (FF 261) nascono proprio in un contesto di fragilità di Leone e di sua tentazione (Leggenda minore, lezione VI : FF 1362):

«Al tempo in cui Francesco, sul monte della Verna, se ne restava rinchiuso nella cella, uno dei suoi compagni provava grande desiderio di avere un qualche scritto con le parole del Signore, brevemente annotato da lui di propria mano. Credeva infatti che con questo mezzo avrebbe potuto eliminare o almeno, di certo, sopportare con minor pena la grave tentazione da cui era vessato: tentazione non carnale, ma di spirito.
Languiva per tale desiderio ed era interiormente angustiato perché , umile qual era, riservato e semplice, si lasciava vincere dalla vergogna e non osava confidare la cosa al venerando padre. Ma a colui al quale non lo disse l’uomo, lo rivelò lo Spirito. Francesco infatti ordinò a quel frate di portargli inchiostro e carta, vi scrisse le lodi del Signore con una benedizione per lui di propria mano, come quello desiderava, e gli offrì benignamente quanto aveva scritto: e tutta quella tentazione scomparve definitivamente.
Quello stesso bigliettino, poi, fu tenuto in serbo e, in seguito, apportò a moltissimi la guarigione: da questo risulta così chiaramente a tutti quale merito abbia avuto davanti a Dio chi lo ha scritto e ha lasciato in un fogliettino firmato una potenza così grande ed efficace».

 

 

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ARTICOLO DI: Andrea Vaona

“fr. Andrea Vaona - francescano conventuale, contento di essere frate. Nato sul limitare della laguna veneta, vive in città con il cuore in montagna, ma volentieri trascina il cuore a valle per il servizio ministeriale-pastorale in Basilica del Santo a Padova e con l'OFS regionale del Veneto. Scrive (poco) e legge (molto). Quasi nativo-digitale, ha uno spazio web: frateandrea.blogspot.com per condividere qualche bit e idea.”

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