La misericordia accolta nell’esperienza della malattia. Infermità di Chiara e delle sorelle

La misericordia accolta nell’esperienza della malattia. Infermità di Chiara e delle sorelle

Se con Lui patirai, con Lui regnerai; soffrendo con Lui, con Lui godrai; morendo con Lui sulla croce della tribolazione, possederai con Lui le celesti dimore nello splendore dei Santi e il tuo nome sarà annotato nel libro della vita (2LAg 21: FF 2880).
Nel suo pellegrinaggio terreno nella vita di clausura a San Damiano, Chiara giunge presto al giaciglio della sofferenza, ad un’infermità del corpo che le sarà “sorella” e compagna di viaggio  per il resto della vita, costringendola a letto per ventotto anni. Unendosi  al destino di Gesù  e facendo propria la sua croce (cfr Lc 9,23-24), Chiara dona tutta se stessa all’Amato, corpo e salute compresi, imitandolo nella sequela del dolore, ricambiando il dono sommo che Egli ha compiuto per ciascuno di noi: «Con tutta te stessa ama colui che, per amor tuo, tutto si è donato» (3LAg 15: FF 2889). Giunta alla fine della vita, con uno sguardo retrospettivo, Chiara constata che con Lui e per Lui nessuna pena le è stata fastidiosa, nessuna penitenza pesante, nessuna malattia dura. Il biografo narra infatti che all’approssimarsi della morte, volle accanto a sé sacerdoti e frati che l’assistessero recitando la passione del Signore: «A frate Rainaldo, uomo affettuoso, che la esortava alla pazienza nel lungo martirio di tante infermità, con tranquillissima voce rispose: “Dopo che conobbi la grazia del mio Signore Gesù Cristo tramite il suo servo santo Francesco, nessuna pena, fratello carissimo, mi è stata molesta, nessuna penitenza grave, nessuna infermità dura”» (LegsC 29: FF 3247). Se prima di ammalarsi Chiara esprimeva il suo amore per Dio attraverso penitenze e digiuni, con la malattia ha imparato ad accogliere quanto la vita stessa  le ha offerto per viverlo in unione alla passione di Cristo.
La croce del Signore doveva essere per lei fonte di grande amore e conforto nella fatica, tanto che, proprio attraverso il segno della croce, ha guarito numerose sorelle e altri ammalati venuti al monastero in cerca di conforto. Quel gesto semplice, quotidiano anche per noi, è in realtà estremamente potente perché espressione di quella misericordia senza misura che ha portato il Figlio di Dio a dare la sua vita per noi liberandoci dal peccato e dalla morte.
Sappiamo che a San Damiano Chiara non era la sola a sperimentare l’infermità. La malattia era esperienza comune nella fraternità, lo attestano non solo i documenti biografici di Chiara, ma anche i numerosi riferimenti disseminati nella Forma di vita da lei scritta per le sorelle. Nel capitolo quarto, delineando i compiti dell’abbadessa, scrive: «Consoli le afflitte. Sia anche l’ultimo rifugio per le tribolate, così che, se venissero meno presso di lei i rimedi di salute, non prevalga nelle inferme il morbo della disperazione» (RsC 4,12: FF 2778).Tra i primi compiti della Madre c’è quello di porsi accanto a chi soffre per cercare di rompere quella dimensione di isolamento e solitudine che tanto spesso accompagna la malattia rendendo la persona più fragile, dipendente, bisognosa di cure e di attenzione. Malattia, infatti, è esperienza di sofferenza e di solitudine, è entrare in contatto con la propria precarietà in una sorta di povertà radicale che non è frutto di scelta, ma chiede di essere accolta per diventare, paradossalmente, il luogo in cui sperimentare la gratuità dell’amore di Dio e delle sorelle.
In questo orizzonte l’attenzione dell’abbadessa verso le sorelle inferme diventa stile comunitario e coinvolge tutte: «Riguardo alle sorelle inferme, l’abbadessa sia fermamente tenuta a informarsi con sollecitudine, da sé e per mezzo delle altre sorelle, di ciò che richiede la loro infermità, tanto nei consigli che nei cibi e nelle altre necessità, e a provvedervi caritatevolmente e misericordiosamente, secondo le possibilità del luogo. Poiché tutte sono tenute a provvedere e a servire le loro sorelle inferme, come vorrebbero essere servite esse stesse se incorressero in qualche infermità. Tranquillamente l’una manifesti all’altra la propria necessità. E se la madre ama e nutre la sua figlia carnale, con quanto maggiore amore deve la sorella amare e nutrire la sua sorella spirituale?» (RsC 8,12-16: FF 2797). Chiara invita ciascuna, sana o ammalata, ad essere una con Cristo ed una con le sorelle che da Lui ha ricevuto, facendo circolare quell’amore che incessantemente fluisce dal Donatore, il Padre delle misericordie.
Quelle che sono provate dall’infermità e quelle che per loro si affaticano, sostengano in pace la fatica, perché insieme, in cielo, saranno incoronate regine con la Vergine Maria: così infatti, molti anni prima, aveva scritto loro Francesco, anch’egli gravemente ammalato e prossimo alla morte:
Quelle ke sunt aggravate de infirmitate
et l’altre ke per loro suo` affatigate,
tutte quante lo sostengate en pace,
ka multo venderite cara questa fatiga,
ka ciascuna sera` regina
en celo coronata cum la Vergene Maria (Aud: FF 263/1)

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ARTICOLO DI: Clarisse urbaniste

“Sorelle Clarisse – Federazione urbanista. Donne che hanno scelto di seguire più da vicino Gesù, seguendo la testimonianza di vita di san Francesco e santa Chiara, nella vita fraterna, nella povertà e nella preghiera quotidiana. «Dietro una grata», come semplificando si sente dire dai più, per cercare di immaginarsi cosa sia la clausura e la vita contemplativa. La Federazione di Santa Chiara d’Assisi delle Monache Clarisse Urbaniste d'Italia è formata dai Monasteri che professano la Regola delle Suore di S. Chiara promulgata da Papa Urbano IV nel 1263. Da qui il nome di Clarisse Urbaniste. Siamo dislocate in tutta Italia e abbiamo 3 monasteri all’estero: in Venezuela, Messico e Romania. Info: www.clarisse.it”

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