“Con fiducia mandino per l’elemosina…”. Povertà e apertura alla misericordia di Dio (RsC 6: FF 2787-2791)

“Con fiducia mandino per l’elemosina…”. Povertà e apertura alla misericordia di Dio (RsC 6: FF 2787-2791)

Santa Chiara, donna dell’affidamento totale a Dio sull’esempio e insegnamento di Francesco, si adorna di “Madonna Povertà”, per entrambi fondamento e vertice della sequela di Gesù povero e umile, che per primo, nella sua infinita misericordia, si è spogliato donandosi tutto agli uomini.
Al cuore della regola, nel Cap. VI (intitolato dai posteri “Del non avere possessi”), ben protette entro gli altri undici capitoli, Chiara colloca il cardine e gioiello della sua intuizione carismatica sull’Altissima Povertà: la “forma di vita” e “l’ultima volontà”, ricevute da Francesco in persona, che qui consideriamo.
Ricevuta la grazia divina perché «seguendo l’esempio e gli insegnamenti del beatissimo padre nostro san Francesco, facessi penitenza (leggasi: mi convertissi alla vita religiosa)» scrive Chiara, «poco tempo dopo la sua conversione, insieme con le mie sorelle, gli promisi volontariamente obbedienza», impegnandosi così a vivere «secondo la perfezione del santo Vangelo» senza temere «nessuna povertà, fatica, tribolazione, umiliazione e disprezzo del mondo, ché anzi li avremmo ritenuti grandi delizie». Francesco, «mosso da pietà» per sì gran fervore per Cristo, scrisse per loro una “forma di vita” (con fondamento teologico-spirituale a carattere trinitario, cristologico e mariano) promettendo alle sorelle presenti e future «“di avere sempre di voi come di loro, per mezzo mio e dei miei frati, cura diligente e sollecitudine speciale”. Ciò che egli adempì diligentemente finché visse, e volle che fosse sempre da adempiere dai frati». Chiara, che si riconosce “pianticella” di Francesco, riceve quindi da lui stesso la promessa e il conforto interiore di ricevere sostegno fraterno dai suoi frati, sia per le necessità materiali e quotidiane delle sorelle povere ritirate nella clausura, sia per quelle spirituali. La povertà voluta da Chiara, per cui ha combattuto tutta la vita, è radicale, un unicum proprio della sua esperienza religiosa: vuole fermamente ed ottiene ufficialmente da Papa Innocenzo IV, poco prima di morire, la conferma del “privilegium paupertatis” (sembra già accordatole anni prima ma solo oralmente): il privilegio, per sé e le sue sorelle, di non possedere niente, né personalmente, né comunitariamente. Un vero e proprio azzardo per un monastero femminile di quei tempi, quando le monache, che vivevano in clausura, dovevano beneficiare di proprietà immobiliari e terreni per poter avere una rendita da cui trarre sostentamento. Ma per Chiara il punto è irremovibile, tanto più che il suo “beatissimo padre” Francesco, prossimo alla morte, esorta ancora le sorelle per iscritto al rispetto della santissima Povertà promessa al Signore. Continua il cap.VI: «E affinché non ci scostassimo mai dalla santissima Povertà che abbracciammo, e neppure quelle che sarebbero venute dopo di noi, poco prima della sua morte ci scrisse di nuovo la sua ultima volontà con queste parole: “Io, frate Francesco, piccolino, voglio seguire la vita e la povertà dell’altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre, e perseverare in essa sino alla fine. E prego voi, mie signore, e vi consiglio che viviate sempre in questa santissima vita e povertà. E guardate con grande cura di non allontanarvi mai da essa, in perpetuo e in nessuna maniera, per insegnamento o consiglio di alcuno”». Quindi Chiara conclude: «E come io, insieme con le mie sorelle, sono stata sempre sollecita nel custodire la santa povertà che abbiamo promesso al Signore Dio e al beato Francesco, così le abbadesse che mi succederanno nell’ufficio e tutte le sorelle siano tenute a osservarla inviolabilmente fino alla fine: vale a dire nel non ricevere o avere possessi o proprietà né da sé, né per mezzo di interposta persona, o anche qualche cosa che ragionevolmente possa dirsi proprietà, se non quel tanto di terra che richiede la necessità, per l’onestà e l’isolamento del monastero; e quella terra non venga lavorata se non come orto per la necessità delle sorelle stesse».
Sia nelle parole sia nell’esempio di vita di Santa Chiara riecheggia la logica del totale abbandono fiducioso alla Misericordia divina attraverso la rinuncia alle “sicurezze umane” proprie del suo tempo (da un privilegiato rango sociale -laico o religioso- ai beni materiali), nel desiderio di poter realizzare quel dono di sé a Dio nella forma dello svuotamento e spossessamento da ogni cosa, fino ad una povertà non più scelta ma “ricevuta” (come l’accoglienza fiduciosa delle sofferenze interiori e fisiche) per una sempre più perfetta imitazione di Cristo, da potersi quindi esprimere nel rendimento di grazie al Creatore, come insegna San Francesco: «Nulla, dunque, di voi trattenete per voi, affinché totalmente vi accolga Colui che totalmente a voi si offre» (LOrd 29: FF 221); «E restituiamo al Signore Dio Altissimo e sommo tutti i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tutti rendiamo a Lui grazie, perché procedono tutti da Lui» (Rnb 17,17: FF 49). E dal momento che tutti i beni vengono dal Signore, come dubitare che Egli non doni alle sue figlie ciò di cui hanno bisogno? Nel Cap. VIII della Regola Chiara rimarca: «Le sorelle non si approprino di nulla, né casa, né luogo, né alcuna cosa. E come pellegrine e forestiere in questo mondo, servendo il Signore in povertà e umiltà, mandino con fiducia per l’elemosina. Né devono vergognarsi, perché il Signore per noi si fece povero in questo mondo. Questo è quel vertice dell’altissima povertà, che vi ha costituito, carissime sorelle mie, eredi e regine del regno dei cieli, vi ha fatto povere di cose, ma vi ha sublimate nelle virtù. Questa sia la vostra porzione, che conduce nella terra dei viventi. Aderendo totalmente ad essa, non vogliate mai, sorelle amatissime, avere altro in perpetuo sotto il cielo, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre».
Chiara può confidare nel suo unico legittimo possesso, la fede, sapendo con Francesco che «l’elemosina é l’eredità e il giusto diritto dovuto ai poveri» in quanto «lo ha acquistato per noi il Signore nostro Gesù Cristo» (Rnb 9,10: FF 32), «che povero fu posto nella mangiatoia, povero visse nel mondo e nudo rimase sul patibolo» (TestsC 45: FF 2841): «O pia povertà, che il Signore Gesù Cristo, nel cui potere erano e sono il cielo e la terra (…) si degnò più di ogni altro di abbracciare!» (1LAg 17: FF 2864). Chi è povero tra i poveri e stende la mano di figlio ottiene la “misericordia” di Dio, “l’elemosina” del Padre, che elargisce ogni sostentamento materiale e spirituale ai figli, in attesa e in preparazione della beatitudine celeste: «O beata povertà, che procura ricchezze eterne a chi l’ama e l’abbraccia» (1LAg 15: FF 2864).
Il “piccolo gregge” di Santa Chiara, le sorelle povere vissute negli otto secoli di presenza clariana nel mondo, che hanno saputo custodire il cuore della loro forma di vita, l’Altissima Povertà, hanno visto e gustato, e continuano a vedere e gustare, confidenti nel Signore e sull’esempio della loro Madre Chiara, l’elemosina amorosa donata loro dal “Padre delle misericordie”.

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ARTICOLO DI: Clarisse urbaniste

“Sorelle Clarisse – Federazione urbanista. Donne che hanno scelto di seguire più da vicino Gesù, seguendo la testimonianza di vita di san Francesco e santa Chiara, nella vita fraterna, nella povertà e nella preghiera quotidiana. «Dietro una grata», come semplificando si sente dire dai più, per cercare di immaginarsi cosa sia la clausura e la vita contemplativa. La Federazione di Santa Chiara d’Assisi delle Monache Clarisse Urbaniste d'Italia è formata dai Monasteri che professano la Regola delle Suore di S. Chiara promulgata da Papa Urbano IV nel 1263. Da qui il nome di Clarisse Urbaniste. Siamo dislocate in tutta Italia e abbiamo 3 monasteri all’estero: in Venezuela, Messico e Romania. Info: www.clarisse.it”

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