Il restauro delle tre chiese

Il restauro delle tre chiese

Così, giorno dopo giorno, curvo di fatica, alternandosi nella quotidiana assistenza ai lebbrosi, nella questua dei materiali e nella loro messa in opera ove, a secondo la  bisogna, si trasformava in carpentiere e muratore, mastro e manuale, tecnico e imprenditore, portò a termine il restauro della chiesa, soddisfatto della buona riuscita dell’opera.
Nella piana sottostante la chiesa di San Damiano, sullo spiano della Spina, tra gli ulivi, vi era abbandonata, e ridotta a ruderi, la chiesa campestre di San Pietro. Per Francesco era irriguardoso che quel sacro manufatto, dedicato al “Principe degli Apostoli”, versasse in condizioni così pietose, rifugio, oramai, di soli animali selvatici e randagi.
Così, senza neppure il tempo di riprendere fiato, ritemprato da una voglia di operosità, decise di continuare il suo lavoro di restauratore e di riparare anche quella chiesa.
Trovando fortunatamente, in quella occasione, maggiore sostegno dagli assisani, che avevano in molti apprezzato i lavori di riadattamento della chiesa di San Damiano e in tanti si erano ravveduti del pregiudizio sulla sua follia; e così, in men che non si dica, anche la Chiesa di San Pietro tornò alla sua originaria integrità.
Laggiù, sulla stessa piana di Rivotorto, sull’aria del Tescio, in località Porziuncola si elevava, coronata da un secolare bosco di cerri, anch’essa scalcinata e decadente, annessa alla mensa dei Benedettini del Subasio, la chiesa di Santa Maria degli Angeli, sulla quale un’antica credenza popolare tramandava che, a gloria della “Beatissima Vergine”, quel luogo sacro fosse dimorato dagli Angeli. Francesco, che nutriva “grande devozione per la Madre di ogni bontà”, volle, come per le altre due chiese e fors’anche con maggiore trasporto e passione, restaurarla.
Così, col solo sudore della propria fronte, elemosinando il materiale, come sempre, nei vicoli di Assisi, portò a compimento l’opera. Il giorno di San Mattia, nella Chiesa fresca di restauro, il Benedettino che officiava la messa, lesse dal Vangelo di Matteo il capitolo sul mandato affidato da Cristo alla missione dei discepoli: «Come avete ricevuto gratuitamente, così date gratuitamente.
Non procuratevi monete d’oro o d’argento o di rame da portare con voi. Non prendete borse per il viaggio né abiti di ricambio, né sandali, né bastone perché l’operaio ha diritto di ricevere quello che gli è necessario. Entrando in una casa dite: “la pace sia con voi”».
Quel capitolo del Vangelo fu per Francesco la fonte illuminante, il lampo che schiariva d’un colpo il senso della sua vocazione. A messa ultimata, per approfondirne maggiormente il significato, pregò il Benedettino di parafrasargli passo per passo quel brano; dopo di che, come in estasi, esclamò: “Questa è la vita che desidero, in quest’unico modo voglio viverla”.                       Così,  con la mente ormai sgombra d’ogni dubbio, ritornò al lebbrosario dove, con una ruvida stoffa, di uno sbiadito grigio-tortora, si confezionò la tonaca, che riproduceva l’immagine della croce, vi aggiunse il cappuccio, se la legò ai fianchi con una grossolana corda di canapa, annodandola tre volte, quanto la cifra della Triade Divina, si tolse i calzari, buttò via il bastone: questo era l’abito di ogni giorno dell’anno, per tutti gli anni, ed era così misero e spoglio che nessun contadino l’avrebbe mai usato per allestire gli spaventapasseri a difesa dei propri granai.
La vestizione del saio segnò l’ultimo atto della sua conversione. Francesco si sentiva ora in perfetta sintonia con sé stesso e con il prossimo; al suo spirito vacillante si svelò d’incanto tutta la purezza del creato, la natura si dischiuse ai suoi occhi in tutta la sua maestosità, come luogo nel quale Dio palesa la sua magnificenza, elemento identitario del suo dono per tutte le creature, per tutti i tempi.
A Francesco era ora chiara la missione che il Signore gli assegnava: quella di realizzare, con la pratica evangelica, il Regno di Dio sulla Terra, in ogni dove, col “coraggio d’inoltrarsi per i sentieri più impervi del mondo, dove il buio è più fitto, dove c’è più bisogno di speranza”.
Poco dopo chiese ed ottenne dai Benedettini del Subasio di dimorare presso la Chiesa della Porziuncola, appena fuori il sagrato vi costruì, tra i cerri, una capanna in cannelle e argilla, non ritenendosi degno di alloggiare tra le mura glorificate alla Grande Madre.
I Benedettini del Subasio, considerando il suo attaccamento alla Chiesa, gliene fecero dono, col censo simbolico di una cesta di pesciolini all’anno. Santa Maria degli Angeli divenne per Francesco il centro del mondo, l’eremo dei suoi approdi.
Giunto alle soglie di Assisi, si diresse verso San Salvatore, per andare a vivere con i lebbrosi; era quella, per ora, la sua casa  e la sua famiglia.
(da “Nacque al mondo un Sole” di Nicola Savino/7)

Avatar photo
ARTICOLO DI: Nicola Savino

“Nicola Savino, classe 1953, Sociologo presso la Regione Campania, s’interessa prevalentemente delle dinamiche demografiche e delle politiche attive del lavoro. È autore di numerosi saggi, opere di narrativa e sillogi di poesie. Tra le sue ultime pubblicazioni: Nacque al mondo un Sole (Robin Edizioni, 2011), La Battaglia di Poitiers. La causa santa e l’arte della guerra (Robin Edizioni, 2014); è in coso di stampa La Vendetta della natura e la grande moria, che chiude la trilogia “Flashback sull’Evo di Mezzo”.”

Ancora nessun commento.

Lascia un commento

Registrati
Esegui Login
Messaggero di Sant'Antonio