Opere di misericordia spirituali – Perdonare le offese

Opere di misericordia spirituali –  Perdonare le offese

Ci siamo lasciati ieri con la lettura della Lettera a un Ministro di Francesco d’Assisi. Oggi sarà ancora lui a condurci dentro l’opera di misericordia del perdonare le offese. Nel Cantico di Frate Sole, Francesco ha fatto inserire il distico del perdono, in memoria della riconciliazione che egli stesso ha facilitato tra il vescovo e il podestà di Assisi: «Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore» (FF 263).

Perdonare i nemici è l’impegno più difficile che ci ha affidato Gesù. Ce lo ha presentato con caratteristiche precise; come obbligo: «Avete inteso che fu detto, amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori». (Matteo 5,43). Perché questo comandamento? Come segno della novità cristiana, ossia della nascita alla vita nuova: «perché siate figli del Padre celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni». (Matteo 5,43). Come condizione per ottenere il perdono: «Pregate così …rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori». (Matteo 6,12). L’insistenza con cui Gesù ha indicato con la parola e con la sua testimonianza personale la strada del perdono, aiuta a cogliere la ricchezza spirituale che esso contiene: spesso è causa di conversione ed è comunque una strada di evangelizzazione. Il perdono delle offese è opera richiesta non solo ai singoli, ma anche alle comunità nazionali e internazionali. Senza il perdono, sarà l’orgoglio a dominare l’arena del mondo, e con il codazzo di violenza e guerra. I cristiani che accettano la dimensione della misericordia e del perdono diventano anima di un mondo riconciliato, non violento, pacifico.

Cosa significa perdonare? Perdonare vuol dire abbandonare ogni risentimento e proposito di punizione e vendetta nei confronti di chi ci ha arrecato un’offesa o un danno. Alcuni sinonimi – che non sono la stessa cosa – possono aiutarci ad approfondire il significato di questo verbo. Per esempio: condonare, assolvere, scusare, non condannare, usare benevolenza, risparmiare. Per noi cristiani c’è l’impegno di guardare all’esempio di Gesù, il quale, sulla croce, ha pregato il Padre suo dicendo: «Padre, perdona loro, perché non sanno quel che fanno» (Lc 23,34).

Cosa dobbiamo perdonare? Le offese in generale, e in particolare gli affronti, le ingiurie, gli insulti, gli oltraggi, i danni, le lesioni, le provocazioni, le percosse, le molestie e anche le uccisioni.

Tutti sbagliamo in diversi modi sia contro il prossimo che contro Dio, e, però, tutti desideriamo comprensione e perdono sia da parte degli uomini che di Dio. «Padre, rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). Pertanto la promessa del perdono da parte di Dio è legata alla disponibilità nostra di perdonare.

Non dobbiamo fermarci qui. Perdonare le offese fa parte della vita nuova che c’è stata donata nel battesimo e ridonata tutte le volte che ci accostiamo al sacramento della riconciliazione. Il più bel grazie che possiamo rivolgere a Gesù quando egli rimette generosamente i nostri peccati è quello di perdonare sempre le offese che riceviamo. Fin qui la motivazione evangelica, che non è poco.Vi è anche un’altra prospettiva, che può essere di qualche aiuto per facilitare il perdono.

Da un punto di vista psicologico, la parola «perdono», è composta di un prefisso rafforzativo «per», cioè super, e dalla parola «dono» cioè: regalo. Il perdono dunque come grande regalo, con cui la vittima rinuncia a vendicare un proprio diritto e rimette il debito a chi lo ha offeso o ingiustamente danneggiato e, allo stesso tempo, riconosce al colpevole la sua dignità di essere umano e dunque il suo diritto a non essere escluso e disprezzato.

È anche importante chiarire che cosa non è il perdono.Il perdono non è oblio, non è negazione del torto, non è giustificazione, non è rassegnazione a subire. Il perdono non implica necessariamente la ripresa di un rapporto sentimentale o di amicizia. Il perdono è la fase conclusiva di un processo che è spesso molto lungo e difficile, che inizia con il riconoscersi vittima di un torto e dunque riconoscere la propria rabbia, il risentimento e il desiderio di vendetta.

Cosa facilita il perdono? La richiesta del perdono da parte della vittima, la capacità di mettersi empaticamente nei panni del colpevole, il desiderio di pacificazione, il timore che la vendetta faccia passare dalla parte del torto, il desiderio di liberarsi dalla ruminazione rancorosa, la capacità di trovare attenuanti.

Il perdono fa bene a chi perdona. Naturalmente va salvaguardata la prudenza, cioè perdonare non significa correre i rischi di riavvicinarsi a persone pericolose. Vendicarsi, al contrario, sembra che non aiuti a chiudere la ruminazione rancorosa, anzi acuisce la sofferenza psicologica. La motivazione a vendicarsi è presente e radicata nella persona umana da un punto di vista biologico, psicologico e culturale. Quando subiamo un’offesa, un insulto o un’ingiustizia proviamo immediatamente emozioni negative di rabbia, risentimento, disappunto e il comportamento che più frequentemente viene messo in atto è quello di vendicarsi per il torto subito. A un’analisi più approfondita vediamo però che la vendetta e la volontà di rivalsa, anche se sono sentimenti naturali e istintivi, non portano ad un effettivo risarcimento dal torto subito: la vendetta, contrariamente a quanto si possa pensare non aiuta ad alleviare il dolore provato nell’aver subito un’ingiustizia perché la vittima si troverà a rimanere focalizzata sull’evento negativo accaduto, a pensare e ripensare continuamente a come potrebbe farla pagare al suo trasgressore, alimentando ulteriormente le emozioni negative sperimentate (rabbia, ostilità, risentimento). Inoltre se anche la vittima risponde a sua volta con un torto verso il trasgressore, per riparare e pareggiare i conti, difficilmente la vittima si sentirà ripagata come sperava ma si andrà invece ad innescare un circolo vizioso infinito: con la vendetta il trasgressore iniziale si trasforma a sua volta in vittima che sentirà la punizione come eccessiva, poiché il dolore soggettivo è sentito come maggiore rispetto al torto di cui si era reso responsabile inizialmente, innescando così in un circolo vizioso senza fine e inconcludente.

La vendetta quindi non determina una soluzione di un problema né comporta un sollievo ma acuisce ulteriormente la sofferenza psicologica. Un modo per uscire da questa spirale negativa è perdonare.

Cos’è dunque il perdono, da un punto di vista psicologico?

Il perdono è un complesso fenomeno affettivo, cognitivo e comportamentale, nel quale le emozioni negative e il giudizio verso il colpevole vengono ridotti, non negando il proprio diritto di sperimentarli, ma guardando al colpevole con compassione, benevolenza e amore. (McCollough & Worthington, 1995).

Il perdono è un processo che implica la consapevolezza da parte della vittima di aver subito un’ ingiustizia ma che sceglie volontariamente di superare la vendetta e di porsi in una posizione diversa nei confronti dell’aggressore. Anche l’aggressore è una persona con emozioni e sentimenti, e spesso ci si può rendere responsabili di arrecare dolore ad altri in modo non intenzionale. In questi casi il trasgressore può sentirsi in colpa per quanto commesso e non perdonarsi per aver causato dolore. Quando si parla di capacità di perdonare essa riguarda anche il comportamento e l’atteggiamento che una persona può avere verso se stesso qualora sia il responsabile di un’azione dannosa verso altre persone. L’incapacità di perdonare se stessi per aver commesso una trasgressione si associa a sentimenti molto dolorosi di colpa,vergogna, rammarico e imbarazzo mentre nella vittima che subisce un’ingiustizia le emozioni più frequenti sono rabbia e ostilità. Secondo alcuni studi queste due forme di perdono sarebbero connesse ovvero l’incapacità di perdonare gli altri sarebbe legata a una incapacità di perdonare se stessi perché incapaci di accettare di essere imperfetti e che nella vita si possono commettere degli errori; è possibile solo accettarsi nella propria vulnerabilità e perdonarsi.

Diversi studi hanno messo in evidenza gli effetti del perdono e del non perdono sia sulla salute fisica che mentale. Essere capaci di perdonare si associa a minori livelli di depressione e di ansia. La ruminazione, il pensare continuamente al passato e ai propri errori gioca un ruolo centrale nel mediare il rapporto negativo tra capacità di auto-perdono e benessere psicologico. La capacità di perdonare oltre a mostrare benefici sul benessere psicologico, sembra avere effetti positivi anche sulla salute fisica. La ricerca suggerisce così che chi è incline al perdono abbia una pressione arteriosa più bassa, un sistema immunitario più forte, riferisce minori livelli di stress, solitudine e depressione, una migliore qualità del sonno e un minor utilizzo di farmaci.Diversi studi hanno infatti dimostrato come lo sperimentare per lungo tempo emozioni negative quali rabbia, ostilità, risentimento aumenti l’incidenza di disturbi cardiovascolari. La rabbia e l’ostilità rappresentano importanti fattori di rischio per la mortalità a causa dell’aumento della pressione sanguigna che si registra durante tali emozioni negative, aumentando la probabilità di sviluppare, nel lungo termine ipertensione e malattie coronariche. La ruminazione continua su un evento in cui si è sperimentato rabbia comporta anche un cambiamento nella qualità del sonno, peggiorandola.

Concludendo, la capacità di perdonare rappresenta una modalità positiva e adattiva di affrontare situazioni di vita dolorose ed evitare che tali situazioni intrappolino la persona in un vortice di emozioni negative che compromettono poi la salute e il benessere della persona. Studi sperimentali hanno dimostrato che la concessione del perdono determina nella vittima un maggior benessere, sia fisico che psicologico, indipendentemente dalla oggettiva gravità dell’offesa.

Grazie anche a queste ricerche possiamo dire che il messaggio di Gesù circa il perdono non è una fantasia per idealisti illusi, ma qualcosa di molto concreto, che ha conseguenze positive e umanizzanti non solo a livello spirituale, come capacità di recupero delle relazioni fraterne, ma anche psicofisico. Ottimo testo di riferimento è il libro Teoria e clinica del perdono, a cura di Barbara Barcaccia e di Francesco Mancini, Raffaello Cortina 2013.

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ARTICOLO DI: Paolo Floretta

“Fra Paolo Floretta è francescano conventuale. Laureato in filosofia e psicologia, è specializzato in psicoterapia. Ha lavorato al Messaggero di sant’Antonio, seguendo per alcuni anni lo sviluppo del web e il suo uso in chiave pastorle. Ha insegnato presso la Facoltà Teologica del Triveneto e si occupa di formazione e accompagnamento psicoterapeutico. Sta concludendo la specializzazione in teologia spirituale. Con don Marco Sanavio ha pubblicato Webpastore.it (EMP 2010).”

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