Opere di misericordia spirituali – Ammonire i peccatori

Opere di misericordia spirituali –  Ammonire i peccatori

Anzitutto un caveat. Circa quest’opera di misericordia bisognerebbe dire cosa non è. Altrimenti ci esporremmo al rischi non troppo remoto di usarla come clava contro il prossimo.

Infatti una delle cose più certe e chiare del Vangelo è il comandamento che Gesù ci ha dato: «Non giudicate e non sarete giudicati. Perché con quel giudizio con cui tu giudichi sarai giudicato e con quella misura con cui misuri, tu stesso sarai misurato». Nulla di più chiaro e cristallino.

È diametralmente contrario al Vangelo impalcarci a giudici del nostro prossimo. S. Paolo arriva addirittura ad affermare che egli non giudica neanche se stesso. Uno solo infatti è il giudice dei vivi e dei morti : Gesù Cristo, così come confessiamo nel Credo.

Se vedo qualcuno che pecca… Che fare? Come muoversi? Dio stesso, nel libro della Genesi, va a cercare personalmente Adamo, nel giardino dell’Eden e poi il peccato di Sodoma e Gomorra. Il Signore disse: «Siccome il grido che sale da Sodoma e Gomorra è grande e siccome il loro peccato è molto grave, io scenderò e vedrò se hanno veramente agito secondo il grido che è giunto fino a me; e, se così non è, lo saprò».

Riflettendo su queste parole, scorgiamo subito l’atteggiamento di Dio. L’Onnisciente vuole sincerarsi di persona di un peccato noto il cui grido giunge fino alle sue orecchie. «Io scenderò e vedrò». Quante volte ci siamo accertati con i nostri occhi del peccato del nostro prossimo? Non è forse vero che normalmente diamo per scontato un peccato che c’è stato solo riferito via gossip o via pettegolezzo? Tanto più oggi, esposti tutti come siamo alle nuove tecnologie, tanto da poterle usare anche come «gogne mediatiche». Si parla tanto di garantismo e di rispetto della buona fama delle persone, cui hanno diritto. Dio è e si dimostra, in assoluto, il massimo garantista. «Scenderò e vedrò se hanno veramente agito così». Se ci pensiamo è un gesto grandissimo di umiltà: verificare di persona. Mai accontentarsi del sentito dire.

Poi c’è un peccato di cui possiamo essere certi: è il peccato di cui siamo testimoni diretti. Qui si danno due casi: che il peccatore sia un cristiano o un pagano. Nel primo caso Gesù è molto esplicito: «Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello». Fra te e lui solo. In questo modo viene tagliato alla radice il pettegolezzo e la calunnia. Qui sei tu con tuo fratello, soli, a quattr’occhi. È molto importante questo comando del Signore, perché la prima cosa che invece siamo tentati di fare, vedendo qualcuno sbagliare, è quella di parlarne – anzi: sparlarne – con qualcun altro. Qui commettiamo un peccato molto grave, in un certo senso contro l’opera di misericordia corporale di vestire gli ignudi. Infatti il peccato è nudità come ci ricorda la Genesi: «Adamo ed Eva] si accorsero allora di essere nudi». Noi di fronte alla nudità del peccatore, parlandone con gli altri scopriamo ancora di più la nudità del nostro fratello. Invece di vestirlo di rispetto, gli tagliamo i panni addosso. E in pubblico! Dio invece la prima cosa che fa è rivestire Adamo. La carità infatti copre una moltitudine di peccati. Anche qui, attenzione: coprire non significa insabbiare. Questo sarebbe colludere in modo colpevole col peccatore. Coprire significa rivestire di dignità la persona che ha sbagliato, incoraggiandola a ricontattarsi col meglio di sé, con la propria serietà e capacità di cambiare e di fare il bene, che comunque si porta dentro nonostante l’errore, pur vistoso, ingiustificabile e indifendibile.

Dio dà la grazia di parlare in disparte con il fratello o la sorella che sta sbagliando. Perché è una grazia? Perché nessuno di noi vorrebbe affrontare da solo il fratello che ha commesso una colpa. È scomodo, imbarazzante; espone a una probabile reazione anche solo di malcelata irritazione se non addirittura al rischio di esser bollati per fastidiosi ficcanaso. Molto più facile presentarsi con un piccolo sinedrio al seguito, un plotone pronto a sparare giudizi. Gesù ci dice altro. Solo in una condizione di debolezza – one down – possiamo ammonire il nostro fratello. Perché l’importante, ci dice Gesù, non è tanto che venga denunciato il peccato. In molti caso è perfettamente evidente a tutti. L’importante è che il fratello, la sorella ascolti la nostra ammonizione e nasca dentro di lui il pentimento; l’importante è guadagnare il fratello che si sta perdendo in azioni insensate. Solo nel caso in cui non ascoltasse puoi tentare una seconda strategia e cioè «prendi con te ancora una o due persone, affinché ogni parola sia confermata per bocca di due o tre testimoni». Notare: una o due persone: è ancora un numero piccolo ed insieme già sufficiente per dare al fratello sia una sufficiente protezione dal disonore sia per fargli prendere coscienza che il suo peccato non è una cosa che riguarda solo lui ma anche tutta la Chiesa.

È chiaro infatti che Gesù sta parlando di un caso particolare e cioè di un cristiano, di un fratello che fa parte della Chiesa. Stiamo cioè parlando della correzione fraterna. Forse a questo punto lui si ravvederà. Forse no. A questo punto allora, ma solo allora, interviene la terza strategia: «se rifiuta d’ascoltarli, dillo alla chiesa; e, se rifiuta d’ascoltare anche la chiesa, sia per te come il pagano e il pubblicano». Qui infatti entra in gioco la missione della Chiesa che è quella di essere un segno di salvezza per il mondo. Il rifiuto di accettare la correzione e il perseverare in una condizione di peccato grave, come potrebbe essere l’adulterio, ad esempio, costituisce una ferita per tutto il Corpo di Cristo che apparirebbe come una controtestimonianza per il mondo. È chiaro che stiamo parlando qui di peccati e colpe gravi non di imperfezioni o di debolezze dei nostri fratelli. E se il peccato è commesso da un pagano, abbiamo ancora il dovere di ammonire i peccatori? Certo che sì. Ma in questo caso l’ammonizione fa appello a principi generali, l’accento è cioè posto sul cercare di portare a Cristo queste persone, cercando di mostrare come il peccato è prima di tutto una distruzione di sé stessi. Chi non è cristiano infatti non ha la coscienza del proprio peccato e molti peccati ormai sono ritenuti comportamenti accettabili, normali. Il dovere di chiamare con il nome di peccato ciò che il mondo ritiene un diritto o una conquista della libertà dell’uomo rimane una testimonianza profetica a cui il cristiano non può sottrarsi. In questi tempi di deflagrazione della famiglia, credo proprio che possiamo affermarlo.

Anche oggi desidero condividere con voi un capolavoro francescano, credo uno degli assoluti della spiritualità cristiana sul perdono e sull’accoglienza e ammonizione del peccatore. È la Lettera a un ministro (FF 234-239) di Francesco d’Assisi. Un vero e proprio monumento all’oltranza della misericordia. Solo una persona, come Francesco, toccata dalla misericordia del Padre poteva scrivere quanto segue.

A frate N… ministro. Il Signore ti benedica!

Io ti dico, come posso, per quello che riguarda la tua anima, che quelle cose che ti impediscono di amare il Signore Iddio, e ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri, anche se ti percuotessero, tutto questo devi ritenere come una grazia. E così tu devi volere e non diversamente. E questo tieni per te in conto di vera obbedienza [da parte] del Signore Iddio e mia, perché io so con certezza che questa è vera obbedienza.

E ama coloro che ti fanno queste cose. E non aspettarti da loro altro, se non ciò che il Signore ti darà. E in questo amali e non pretendere che siano [per te] cristiani migliori.

E questo sia per te più che il romitorio.

E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore e ami me servo suo e tuo, se farai questo, e cioè: che non ci sia mai alcun frate al mondo, che abbia peccato quanto poteva peccare, il quale, dopo aver visto i tuoi occhi, se ne torni via senza il tuo perdono misericordioso, se egli lo chiede; e se non chiedesse misericordia, chiedi tu a lui se vuole misericordia.

E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attirarlo al Signore; e abbi sempre misericordia di tali fratelli.

E notifica ai guardiani, quando potrai, che da parte tua sei deciso a fare così.

Le frontiere del possibile. Così titolerei questo insuperato capolavoro di misericordia e di delicatezza. Questo ci sintonizza sull’onda giusta del perdono e anche dell’aiutare i peccatori a riprendersi di fronte a se stessi, agli altri e a Dio stesso. Con umile e raffinata delicatezza, ad oltranza.

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ARTICOLO DI: Paolo Floretta

“Fra Paolo Floretta è francescano conventuale. Laureato in filosofia e psicologia, è specializzato in psicoterapia. Ha lavorato al Messaggero di sant’Antonio, seguendo per alcuni anni lo sviluppo del web e il suo uso in chiave pastorle. Ha insegnato presso la Facoltà Teologica del Triveneto e si occupa di formazione e accompagnamento psicoterapeutico. Sta concludendo la specializzazione in teologia spirituale. Con don Marco Sanavio ha pubblicato Webpastore.it (EMP 2010).”

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