Il Signore mi dette dei fratelli

Il Signore mi dette dei fratelli

Francesco scrive il Testamento per lasciare ai suoi ciò che di più intimo gli è stato donato: il suo incontro con Dio e la sua risposta di fede. Questa personalissima esperienza di fede è ciò che costituisce il carisma di ciascuno. Spesso si pensa che i carismi siano doni particolari che i credenti ricevono, ma i doni che noi possiamo riconoscere sono solo un aspetto dell’esistenza carismatica di ogni credente.
Il carisma è, più radicalmente, l’opera che lo Spirito, l’amore di Dio riversato nei cuori, realizza in ogni credente. Non si tratta quindi tanto di andare a scoprire le caratteristiche o le abilità donate ad una persona, quanto di scrutare il mistero della sua esistenza cristiana tutta carismatica. Infatti ciascun credente è plasmato in modo unico da Dio che permea tutta la sua persona e attraversa la sua libertà, conducendolo ad una risposta di fede assolutamente singolare. Ciò che Francesco ricorda nell’inizio del Testamento è proprio il suo carisma, racconta cioè cosa ha segnato la propria esperienza di fede, mette a nudo la propria intimità unica con il Signore, quindi, quasi stupito, ricorda che il Signore gli diede dei fratelli. Ciò che lui aveva sperimentato così intimamente e anche in modo solitario, abbracciando il lebbroso o entrando nelle chiese diroccate e mettendosi a ripararle, non rimane oscuro per altri, anzi li attrae. E così si vede chiaramente come i carismi, che pure costituiscono l’intimità più profonda e personale di ogni credente, possano per dono di Dio essere condivisi: la vita cristiana non è mai individuale, il nucleo più profondo della persona, ciò che Dio stesso ha plasmato e abita in modo unico e irripetibile viene condiviso. Questo è vero per la fede in genere, e quindi per l’esperienza della comunione con Dio, ma anche per i carismi: la singolare risposta di fede di Francesco non resta solo di Francesco.
E così questi riceve in dono dei fratelli, che condividono il suo carisma, la sua risposta di fede a Dio che si è mostrato in ciò che è piccolo. La comunione che sgorga da una tale condivisione è talmente radicale da far pensare che non esista più vita senza l’altro che mi è stato dato e che mi appartiene. Possiamo certamente usare, allora, anche per la fraternità le parole di Paolo sulla chiesa intera: siamo membra gli uni degli altri (Rm 12,5b). Si condivide intimamente non solo la comprensione e l’adesione all’amore di Dio, ma anche una specifica modalità di rispondere a questo amore, trovando così una particolare sintonia nello Spirito che costituisce chi condivide il carisma in un’unica famiglia spirituale.
(il Testamento di san Francesco/8)

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ARTICOLO DI: Simona Segoloni Ruta

“Simona Segoloni Ruta è laica (diocesi di Perugia), coniugata e ha 4 figli. Ha conseguito il dottorato in teologia dogmatica presso la Facoltà Teologica dell’Italia centrale di Firenze ed è docente stabile di teologia sistematica all’Istituto Teologico di Assisi. Fra le sue pubblicazioni: Tradurre il concilio in italiano. L’Associazione teologica italiana come soggetto di recezione del Concilio, Glossa, Milano, 2013; Il rinnovamento della teologia nel XX secolo a partire dal dettato conciliare in P. Benanti – F. Sciurpa – S. Segoloni Ruta, Un secolo di novità complesse, Cittadella editrice, Assisi, 2012; L’autocoscienza ecclesiale testimoniata nel Nuovo Testamento in S. Segoloni Ruta – C. Burini De Lorenzi, La chiesa degli inizi. Nascita e sviluppo della chiesa nei primi secoli del cristianesimo, Cittadella editrice, 2011. Di prossima pubblicazione per Cittadella Editrice: Tutta colpa del Vangelo. Se i cristiani si scoprono femministi. È socia dell’ATI e del Coordinamento teologhe italiane.”

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