Il più piccolo di tutti

Il più piccolo di tutti

Lungo tutto il Testamento Francesco sembra cercare le tracce del Dio che si è fatto piccolo: gli ultimi (lebbroso), la povertà della chiesa, i sacerdoti spesso inadeguati e il segno fragile del pane eucaristico, in cui la presenza di Dio si nasconde e si rivela. Se Dio fa così, anche noi dobbiamo fare così, sembra dire Francesco, e così sceglie per sé e per i suoi la minorità, l’essere obbedienti a tutti. Se Dio non disdegna di consegnarsi loro nonostante la miseria che vede, perché i frati minori non dovrebbero obbedire a tutti consegnando a loro volta se stessi?
E dopo aver parlato di coloro che si dedicano a rendere presente il Signore sull’altare, cioè i sacerdoti, Francesco passa a coloro che amministrano le parole divine, fra i quali in particolare cita i teologi, come amministratori di Spirito e vita. Anche la parola di Dio infatti è una presenza povera: ciò che è scritto non è di accesso facile né immediatamente evidente. Dio si costringe in parole umane e così si umilia per porsi in mano nostra, presenza povera e accessibile a noi che non parliamo altro linguaggio che quello umano.
Coloro che ci permettono di accedere a quanto la parola di Dio dice sono da onorare e venerare, perché ci permettono di toccare la presenza povera e concreta di Dio, proprio come i sacerdoti ci permettono di toccare la sua presenza povera e concreta nel pane eucaristico. Né i sacerdoti né i teologi tolgono il velo a questa presenza, che resta discreta ed umile, ma ci permettono di accedervi. Non dobbiamo dimenticare infatti che la parola di Dio necessita di spiegazioni non tanto perché la si può illuminare una volta per sempre e comprendere in modo assolutamente certo, ma perché essendo scritta tanti secoli fa non è più accessibile immediatamente per nessuno: un’altra lingua, un’altra cultura, altre idee antropologiche e religiose. Senza esperti di questa parola e della sua interpretazione essa non potrebbe parlare, anche se messa in mano ai credenti, perché la distanza storica e culturale resterebbe incolmabile.
Anche questa dinamica mostra la povertà insondabile di Dio che consegna la sua parola alla storia e alla provvisorietà della cultura umana: il Verbo eterno si fa parola e così chiede di essere studiato e compreso perché uomini e donne che vivono in epoche tanto distanti possano ascoltare cosa Dio ha detto e fatto. A coloro che si dedicano a questo studio si deve venerazione e onore, non perché non sbagliano mai o perché conoscono Dio meglio di altri, ma perché vivono scrutando la presenza povera di Dio nella parola e la donano a tutti.
(il Testamento di san Francesco/6)

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ARTICOLO DI: Simona Segoloni Ruta

“Simona Segoloni Ruta è laica (diocesi di Perugia), coniugata e ha 4 figli. Ha conseguito il dottorato in teologia dogmatica presso la Facoltà Teologica dell’Italia centrale di Firenze ed è docente stabile di teologia sistematica all’Istituto Teologico di Assisi. Fra le sue pubblicazioni: Tradurre il concilio in italiano. L’Associazione teologica italiana come soggetto di recezione del Concilio, Glossa, Milano, 2013; Il rinnovamento della teologia nel XX secolo a partire dal dettato conciliare in P. Benanti – F. Sciurpa – S. Segoloni Ruta, Un secolo di novità complesse, Cittadella editrice, Assisi, 2012; L’autocoscienza ecclesiale testimoniata nel Nuovo Testamento in S. Segoloni Ruta – C. Burini De Lorenzi, La chiesa degli inizi. Nascita e sviluppo della chiesa nei primi secoli del cristianesimo, Cittadella editrice, 2011. Di prossima pubblicazione per Cittadella Editrice: Tutta colpa del Vangelo. Se i cristiani si scoprono femministi. È socia dell’ATI e del Coordinamento teologhe italiane.”

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