U come… urlare!

U come… urlare!

Mano a mano che diventiamo grandi, ci viene spesso intimato di “non urlare!”. Ma intanto è proprio con un urlo, e a squarciagola, che entriamo nel mondo. Noi riferiamo l’atto di urlare soprattutto a spaventi o comunque a momenti di paura e angoscia. Ma in realtà con un urlo liberiamo anche la nostra gioia incontenibile o manifestiamo il nostro stupore. Con un urlo richiamiamo l’attenzione degli altri, in una situazione di pericolo, ma anche, magari un po’ più strozzato in gola, raggiungiamo il godimento nell’atto sessuale. Si urla anche per farsi coraggio, per rinserrare le file e per partire all’attacco (le famose urla di guerra: Is 42,13). Viene da pensare che l’uomo, be’, urla per sua natura. Lo fa spesso nella vita. Almeno, come abbiamo visto, nei momenti più importanti.
E se nell’arte è famoso l’urlo dipinto da Edvard Munch, nella musica gli acuti di jazzisti come Ella Fitzgerald o quello prolungato in The Great Gig in the Sky cantata dai Pink Floyd, e nel cinema gli urli dell’eroe nazionale scozzese William Wallace (impersonato da Mel Gibson) nel film Bravehearth, o quello di Janet Leigh assassinata sotto la doccia in Psyco di Alfred Hitchcock, nel Vangelo probabilmente l’urlo più noto è quello di Gesù in croce: «Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo, spirò» (Lc 23,46). Un urlo che è grande come un abisso di desolazione, pesante come un castello di certezze che ti crolla addosso, bruciante come essere abbandonati da colui che ti ama e a cui vuoi bene. Un bene da morire? Un urlo allora che spazza e butta all’aria tutta la morte che c’è in te e attorno a te! L’urlo, appunto, non di chi muore, ma di chi rinasce: «urlate, perché è vicino il giorno del Signore» (Is 13,6).
Qualche volta, più prosaicamente l’urlo di chi ha… fame: «Quando il beato Francesco cominciò ad avere dei fratelli, dimorava con essi presso Rivotorto. Una volta, sulla mezzanotte, mentre tutti riposavano sui loro letticcioli, uno dei frati gridò all’improvviso: “Muoio! muoio!”. Tutti gli altri si svegliarono stupefatti e atterriti. Il beato Francesco si alzò e disse: “Levatevi, fratelli, e accendete il lume”. Acceso il lume, disse il beato Francesco: “Chi è quello che ha gridato: muoio?”. Il frate rispose: “Sono io”. E disse a lui il beato Francesco: “Che hai, fratello? di che cosa muori?”. E lui: “Muoio di fame”. Il beato Francesco, da uomo pieno di carità e discrezione, affinché quel fratello non si vergognasse a mangiare da solo, fece subito preparare la mensa, e tutti si posero a mangiare insieme con lui» (CAss 50: FF 1568). Santo urlo! Che costringe tutti alla verità di se stessi (“ho fame”), obbliga ad accendere luci prima di condannare o giudicare. Ma soprattutto provoca “spaghettate di mezzanotte” condite di fraternità e gioia, salate con la semplicità.
E neppure santa Chiara, abituata piuttosto al silenzio del chiostro di S. Damiano, potrà ignorare l’urlo di una mamma che la prega perché fosse salvo il suo bimbo rapito da un lupo (LegsC 40: FF 3276).

(Alfabeti improbabili. A zonzo tra Bibbia e Fonti Francescane/14)

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ARTICOLO DI: Fabio Scarsato

“Fra Fabio Scarsato – Originario di Brescia, frate minore conventuale, è appassionato di san Francesco e francescanesimo, che declina come stile di vita personale e come testimonianza agli altri. È passato attraverso esperienze caritativo-sociali con minori e giovani in difficoltà, esperienze parrocchiali e santuariali nella trentina Val di Non (Sanzeno e S. Romedio), di insegnamento della spiritualità francescana, condivisione di esercizi spirituali e ritiri, grest e campiscuola anche intereligiosi, esperienze di eremo e silenzio. Attualmente vive al Villaggio S. Antonio di Noventa Padovana, ed è direttore editoriale del Messaggero di S. Antonio, del Messaggero dei ragazzi e delle Edizioni Messaggero Padova.”

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