L’ira

L’ira

Nella cultura dominante l’aggressività è divenuta un tabù. Nella società del political correct, del fair play, dell’attimino, del buonismo, etc., essere aggressivi, o meglio mostrarsi aggressivi, è out. Il che genera in noi un pregiudizio di fronte al tema dell’ira: non essendo persone che vanno in giro aggredendo il proprio vicino (urla, botte, menomazioni, duelli, lupara, etc.) potremmo pensare che tutto questo ci riguardi solo tangenzialmente. Dobbiamo ricordarci che la rabbia è una passione che fa parte di noi. Ma rabbia e ira non sono la stessa cosa. L’ira, più che rabbia o aggressività, è un desiderio di vendetta cui si può più o meno coscientemente associare un desiderio di uccidere (CCC 2302). Il fondamento dell’ira che porta alla morte è più profondo e da luogo a una rabbia omicida: anche se non uccidiamo nessuno, uccidiamo la relazione con l’altro, aggredendolo, denigrandolo o comportandoci come se fosse morto. La rabbia, di per sé neutra, può essere, come tutte le passioni, uno strumento che ci aiuta a superare i nostri blocchi, che mostra la reazione a un’ingiustizia, che ci muove a solidarietà del prossimo, etc. Ciò che la rende “mortale” è il desiderio di vendetta cui si unisce, che può durare mesi, anni o addirittura non passare mai. Per fare un esempio in ogni matrimonio ci saranno tensioni tra i coniugi praticamente inevitabili e inevitabili occasioni di aggressività. Rimangono due possibilità: una comunicazione onesta della tensione (a volte anche con impazienza, perché così è la natura umana!), oppure un’aggressione nascosta (masked) che si esprime indirettamente, che, a lungo andare, come vedremo, è molto più pericolosa e deleteria. Lo stesso si può dire per una comunità di vita o in generale per tutti i nostri rapporti umani (si pensi ad alcune dinamiche che animano le nostre riunioni di staff, Co.Ca., etc). Poiché ciascuno di noi s’identifica solitamente con la parte educata e razionale di sé, spesso ci rifiutiamo di riconoscere come nostra la parte passionale scaricando il motivo della sua presenza all’altro: è sempre qualcuno o qualcosa che ci ha fatto arrabbiare! Tutti abbiamo qualche cosa che ci fa arrabbiare perché tutti abbiamo delle intolleranze, delle debolezze o qualche vecchia ferita non completamente rimarginata: spesso quando ci arrabbiamo non è per il fatto contingente ma per qualche cosa d’altro, di più “antico”, dimenticato forse. E così la classica “goccia che fa traboccare il vaso” ci fa esplodere. Dobbiamo però riconoscere che esistono diverse manifestazioni della rabbia. C’è chi, esprimere direttamente la propria rabbia perché è incontenibile e forse smisurata rispetto all’accaduto. C’è chi sposta la rabbia su una persona diversa da quella che l’ha provocata, perché non ha il coraggio di affrontarla, o non può affrontarla: come dice Iannacci in una canzone: “…quelli che… perde il Milan, vanno a casa e picchiano i figli…”. Forse la forma più insidiosa e letale per la nostra vita è la cosiddetta aggressività passiva. Questo è il nome che gli psicologi clinici danno a quei comportamenti creati per punire qualcuno in un qualche modo indiretto (spesso provocando in lui un senso di colpa con mutismi, freddezza, comportandoci come se chi ci fosse di fronte fosse colpevole di qualcosa per cui ora lo puniamo, etc.). Chi aggredisce l’altro in questo modo passivo si risparmia una risposta aggressiva immediata, perché abitualmente la vittima non riuscirà a riconoscere il comportamento del suo assalitore come aggressivo e punitivo. Sfortunatamente chi usa l’aggressività passiva provoca nell’altro del risentimento che lo porterà a evitare l’assalitore. Molti studi recenti indicano che chi esibisce degli schemi coerenti di comportamento passivo-aggressivo non ha molte relazioni durevoli e soddisfacenti. Anche la Bibbia ci parla dell’ira: l’ira di Dio, una misteriosa via di salvezza e l’ira dell’uomo, una via di dannazione. San Paolo (Ef 4,20-27) riconosce che in ciascuno di noi alberga una radice d’ira. Il problema non è la sua espressione, ma il permettere che questa dimori stabilmente in noi (non tramonti il sole….). La Genesi (Gen 4,1-17) ci aiuta a individuare un punto d’origine dell’ira e il suo mutarsi in violenza. Caino è ciascuno di noi che acconsente al peccato accovacciato alla sua porta…

Scheda

Dalla Scrittura: Gen 4,1-17; Ef 4,20-27; Prov 29,8-11; Sal 37,1-11; Rm 12,17-21; Gc 1,19-20; Mt 5,21-26; Gv 18,19-23; Lc 6,36-45

Dal Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC): 2302

Dalle Fonti Francescane: FF 146; FF 158; FF 161; FF 162; FF 164

Dalla musica: De André, La ballata di Miché; De André, Canzone del maggio; De André, Il bombarolo; Guccini, Piazza Alimonda; Guccini, Don Chisciotte; Guccini, La locomotive; U2, Sunday Bloody Sunday

Dalla letteratura: E.E. Scmidt, Piccoli crimini coniugali; G. Chapman, L’ira, l’altra faccia dell’amore

R. Miggelbrink, L’ira di Dio. Il significato di una provocante tradizione biblica; G. Micuno, Omero. Iliade. L’ira di Achille; A. Baricco, Omero, Iliade

(I vizi capitali/3)

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ARTICOLO DI: Paolo Benanti

“Fra Paolo Benanti francescano del Terzo Ordine Regolare ha acquisito la sua formazione etico-teologica presso la Pontificia Università Gregoriana e ha perfezionato il suo curriculum presso la Georgetown University a Washington D.C. (USA) dove ha potuto perfezionare le ricerche sul mondo delle biotecnologie. Svolge la sua attività accademica come docente di Teologia morale (fondamentale, sessuale e morale della vita fisica) e Bioetica tra la Gregoriana a Roma, l’Istituto Teologico ad Assisi e il Pontificio Collegio Leoniano di Anagni. Collabora con l’American Journal of Bioethics - Neuroscience ed è membro dello staff editoriale di Synesis. È autore di numerose pubblicazioni presso editori italiani e internazionali.”

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