Il Testamento di Frate Francesco (1226)

Il Testamento di Frate Francesco (1226)

Per poter comprendere adeguatamente le parole di un testo occorre fare almeno due tipi di lettura: anzitutto scorrere il testo così come si presenta e cercare di comprenderlo per come è stato scritto, nella sua interezza e nell’immediatezza del suo significato. Poi occorre penetrare la logica con cui il testo è stato scritto per coglierne il significato in modo più profondo e non limitarsi alla superficie con il rischio di perdersi molto se non perfino di ingannarsi. Tale lettura, più ambiziosa e delicata, prevede anzitutto una comprensione generale del testo. Che tipo di testo è, in che circostanze è stato scritto, per chi e quale è la sua struttura.

Francesco scrive il Testamento ormai prossimo alla morte e ben consapevole delle difficoltà che attraversano l’Ordine che è nato da lui. Scrive per i suoi frati, perché non perdano ciò che hanno ricevuto e al quale si sono consegnati. Scrive un testo lungo rispetto al breve testamento di Siena, dettato pochi mesi prima, ma non scrive un’altra regola (già alla Regola non bollata era seguita la Regola bollata) e si preoccupa di puntualizzarlo: non vuole contraddire quanto si sta facendo per regolare la vita dell’Ordine, vuole consegnare se stesso ai suoi, come ultimo gesto di amore e di custodia per loro.

Prima di scorrere il testo è bene sapere che il Testamento si può dividere in tre sezioni: la prima (vv.1-23) descrive i ricordi di Francesco, sulla propria personale conversione e sull’inizio della vita comune. Quindi attingendo a piene mani dall’esperienza personale raccontata, anzi poggiandosi direttamente su questa, frate Francesco passa ad esortare i frati (vv. 24-33) perché vivano in coerenza con l’ispirazione originaria che sta ricordando e avvallando con tutta la forza della propria testimonianza.  Questa parte esortativa vede riportate norme dettagliate per la vita dei frati che si possono tutte ricondurre a quella fondamentale radice da cui tutto è partito: ciò che il Signore ha fatto in Francesco e nei suoi primi compagni. L’ultima sezione (vv. 34-41) dà i criteri per comprendere il testo, in particolare Francesco non vuole che il Testamento diventi una scusa per interpretare la Regola in modo diverso da come è stata scritta: questa è una esortazione mia, dice il santo, un testamento di frate Francesco piccolino, da tenere accanto alla Regola e non certo da sostituire ad essa.

Non un’altra Regola dunque, nessuna polemica rispetto a quanto si sta facendo per l’Ordine. Vuole però ricordare la ragione profonda di tutto ciò che i frati hanno vissuto e si preparano a vivere, il senso profondo di tutto ciò che stanno facendo, e lo indica in quell’esperienza fondante che lui solo conosce fino in fondo, perché coincide con la sua stessa vita, e che ora brama di svelare.

(Il Testamento di san Francesco/2)

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ARTICOLO DI: Simona Segoloni Ruta

“Simona Segoloni Ruta è laica (diocesi di Perugia), coniugata e ha 4 figli. Ha conseguito il dottorato in teologia dogmatica presso la Facoltà Teologica dell’Italia centrale di Firenze ed è docente stabile di teologia sistematica all’Istituto Teologico di Assisi. Fra le sue pubblicazioni: Tradurre il concilio in italiano. L’Associazione teologica italiana come soggetto di recezione del Concilio, Glossa, Milano, 2013; Il rinnovamento della teologia nel XX secolo a partire dal dettato conciliare in P. Benanti – F. Sciurpa – S. Segoloni Ruta, Un secolo di novità complesse, Cittadella editrice, Assisi, 2012; L’autocoscienza ecclesiale testimoniata nel Nuovo Testamento in S. Segoloni Ruta – C. Burini De Lorenzi, La chiesa degli inizi. Nascita e sviluppo della chiesa nei primi secoli del cristianesimo, Cittadella editrice, 2011. Di prossima pubblicazione per Cittadella Editrice: Tutta colpa del Vangelo. Se i cristiani si scoprono femministi. È socia dell’ATI e del Coordinamento teologhe italiane.”

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