Lasciare in eredità se stessi

Lasciare in eredità se stessi

Quando Francesco sta per morire, è preoccupato per coloro che lo hanno seguito. Guardando a questi fratelli, che ritiene gli fossero stati dati da Dio perché li custodisse, lascia un Testamento, compiendo così l’ultimo gesto materno nei loro confronti. Non si rivolge a loro perché pensa che senza di lui non potranno vivere o perché è preoccupato dell’opera che lui ha fatto (come chi lascia tanti beni o un regno o un’impresa e si preoccupa della successione perché ciò che lascia non venga sciupato da chi verrà in seguito), si rivolge loro perché si sente custode, madre di questi che Dio gli ha dato, responsabile per loro. Vuole allora consegnare ciò che di più prezioso ha, in modo che siano aiutati a non perdere di vista ciò che hanno scelto e che li ha resi fratelli. E solo lui può dire quale è il cuore di tutto ciò che hanno vissuto insieme, perché è la sua esperienza di fede quella su cui gli altri si sono innestati. L’ultimo atto di custodia di frate Francesco sarà così svelare il segreto della propria esperienza cristiana, in modo che coloro che l’hanno condivisa rimangano fedeli a se stessi e a Dio che ha fatto loro questo dono.

Anche Gesù, prima della Pasqua, si comporta in modo simile. Riunisce i suoi e lascia parole e gesti che serviranno a quelli che il Padre gli ha dato per vivere ciò che hanno iniziato con lui. Lui deve andare, ma loro devono restare uniti in lui, condividendo ciò che hanno vissuto con lui. Nel Vangelo di Giovanni interi capitoli sono riempiti dal lungo discorso di addio del Signore, parole che si rincorrono, a volte si ripetono quasi accavallandosi o complicando il pensiero, proprio come quando si hanno tante cose da dire in poco tempo e non si riesce a dirle, come quando vorremmo spiegare a chi amiamo tutto quello che abbiamo capito e tutto quello che proviamo, ma ci accorgiamo che le parole non stanno dietro al pensiero e il pensiero non sta dietro al cuore. Allora Gesù fa dei gesti, parla con la propria carne: lava i piedi dei suoi e spezza il pane per loro e con loro. Il segreto della sua vita è un amore assoluto, dato fino alla fine, e questo Gesù consegna ai suoi: fate questo in memoria di me, amatevi, date la vita gli uni per gli altri, servitevi, morite se necessario, ma non separatevi mai dall’amore di Dio e dei fratelli.

Gesti e parole per dire il mistero di una vita. Così Gesù, così Francesco che, ormai sfinito, detta il Testamento per donare anche lui se stesso, aprendo il proprio cuore ai suoi e lasciando intravvedere, perché diventi patrimonio comune, il mistero intimo d’amore che Dio ha compiuto in lui e con lui.

(Il Testamento di san Francesco/1)

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ARTICOLO DI: Simona Segoloni Ruta

“Simona Segoloni Ruta è laica (diocesi di Perugia), coniugata e ha 4 figli. Ha conseguito il dottorato in teologia dogmatica presso la Facoltà Teologica dell’Italia centrale di Firenze ed è docente stabile di teologia sistematica all’Istituto Teologico di Assisi. Fra le sue pubblicazioni: Tradurre il concilio in italiano. L’Associazione teologica italiana come soggetto di recezione del Concilio, Glossa, Milano, 2013; Il rinnovamento della teologia nel XX secolo a partire dal dettato conciliare in P. Benanti – F. Sciurpa – S. Segoloni Ruta, Un secolo di novità complesse, Cittadella editrice, Assisi, 2012; L’autocoscienza ecclesiale testimoniata nel Nuovo Testamento in S. Segoloni Ruta – C. Burini De Lorenzi, La chiesa degli inizi. Nascita e sviluppo della chiesa nei primi secoli del cristianesimo, Cittadella editrice, 2011. Di prossima pubblicazione per Cittadella Editrice: Tutta colpa del Vangelo. Se i cristiani si scoprono femministi. È socia dell’ATI e del Coordinamento teologhe italiane.”

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